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Esiste l’obesità salutare? No, è una bufala

13 aprile 2018 - L’invito ad abbandonare per sempre questa terminologia, in quanto ‘grezza’ e fuorviante, viene da uno studio inglese condotto presso la Loughborough University. Gli autori riconoscono che tra un obeso e l’altro c’è una grande variabilità biologica ma invitano a studiarne le cause piuttosto che ad etichettare come ‘in salute’ gli obesi che non presentano patologie associate. Perché, scrivono, l’obesità tutto è fuorché salutare. 

Siamo andati avanti per anni a parlare di paradosso dell’obesità, intendendo con questo quei soggetti che pur essendo obesi mostravano esami di laboratorio da manuale e (apparente) salute di ferro (non presentano ad esempio di ipertensione, né di diabete).

 

L’ossimoro dell’obeso in buona salute, ha cominciato poi nel tempo a traballare un po’ come credibilità. E adesso uno studio appena pubblicato su Annals of Human Biologyarriva a contestarlo apertamente, chiedendo apertamente di abbandonare l’espressione obesi in salute (healthy obese), in quanto falsa e fuorviante.
 
“Di certo però - ammettono William Johnson(School of Sport, Exercise and Health Sciences presso la  Loughborough University) e colleghi autori dello studio - esistono notevoli differenze tra un soggetto obeso e l’altro per quanto riguarda lo stato di salute, per cui sarà di certo necessario continuare a fare ricerche per comprendere cos’è che condizioni questa variabilità biologica.” 
 
Alcuni dei fattori che potrebbero essere responsabili di questa variabilità dello stato di salute a parità di indice di massa corporea (BMI) sono la durata dell’obesità (cioè da quanti anni un determinato soggetto ha superato l’asticella del 30 di BMI), gli eventi che gli sono capitati nella vita, lo stato di fumatore nel corso dell’adolescenza.
 
“E’ innegabile che l’obesità faccia male alla salute – commenta Johnson – ma ci sono chiare differenze tra un soggetto e l’altro sul ‘quanto’ questa condizione possa essere nemica della salute. Mentre il concetto di ‘heslthy obesity’ è ‘grezzo’ e problematico, e per questo andrebbe abbandonato, di certo ci sono ampie possibilità, attraverso la ricerca, di comprendere le diverse cause e conseguenze dell’eterogeneità dello stato di salute tra un soggetto e l’altro, a parità di BMI”.
 
“L’epidemiologia – riflette Johnson -  ha svelato molti dei processi e dei fattori ambientali che portano ad una determinata patologia ma sappiamo ancora molto poco di cosa accada ad un determinato soggetto nel corso della vita e che porta ad esempio lui ad avere un infarto, mentre magari un suo amico, con lo stesso indice di massa corporea ne viene risparmiato. Le coorti per anno di nascita già disponibili rappresentano una miniera di dati in questo senso e potrebbero aiutarci a migliorare le conoscenze sull’argomento”.
 
E viste le proporzioni pandemiche che ha raggiunto l’obesità, è di certo la benvenuta ogni ricerca che possa aiutare a gettare luce in questa direzione, consentendo dunque di mettere in atto misure di prevenzione sempre più stratificate e mirate ai soggetti ad alto rischio.
 
Maria Rita Montebelli

 

 

 

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