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Ospedali fuori standard. Via al nuovo sistema di monitoraggio del ministero. Ed è allarme per cancro al seno, infarto e parti

2 febbraio 2018 – In quasi il 90% dei casi non si rispettano per il tumore seno e nel 50% nel trattamento dell’infarto. E un ospedale su cinque fa meno di 500 parti l’anno. Per Lorenzin bisognerebbe passare dal Commissariamento delle Regioni a quello delle singole Asl per poter intervenire direttamente.


“Uno dei problemi principali per il Ministero della Salute nell'azione di monitoraggio e controllo, nonché nell'azione di impulso rispetto all'applicazione di nuove politiche sanitarie, è sempre stato quello di non poter avere in presa diretta i dati di ciò che accade nei singoli reparti, e non potere valutare, dunque, produttività, esiti, e le grandi questioni che riguardano il funzionamento o meno di un ospedale, rispetto alle urgenze/emergenze e non solo. Proprio a tal fine, abbiamo realizzato e messo a disposizione delle Regioni uno strumento operativo di valutazione e monitoraggio”, così il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin presenta una nuova fase di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale che, fornendo alle Regioni questo strumento, vuole incentivare una “riprogrammazione” virtuosa dei reparti ospedalieri.
 
L'urgenza della necessità di riprogrammare trova piena conferma nei dati di monitoraggio relativi al 2016 presentati nei giorni scorsi a Roma: tra le strutture che effettuano interventi su tumori alla mammella, quasi 9 su 10 (83,8%) non rispetta gli standard previsti dal Decreto Ministeriale 70/2015 (Regolamento degli standard ospedalieri). Anche nel trattamento dell'infarto del miocardio, e in particolare nella realizzazione della Ptca (Angioplastica Coronarica Transluminale Percutanea), sono stati rilevati standard più bassi rispetto a quanto previsto dal Ssn: tra le strutture che praticano questo tipo di intervento, una su due (48,3%) non rientra nei criteri descritti nel Decreto.
 
Alcuni reparti specializzati (emodinamiche), infatti, praticano poche decine di interventi, mentre è assodato che in caso di Infarto Miocardico Acuto, nelle realtà che effettuano oltre 250 interventi l’anno cresce l’efficacia delle PTCA (Angioplastica Coronarica Transluminale Percutanea). Basti pensare che, laddove si registra una proporzione inferiore al 25% di pazienti con Infarto Miocardico Acuto trattati con PTCA entro 2 giorni, nel 98% dei casi si tratta di strutture che effettuano meno di 250 PTCA/anno. Infine, più di un punto nascita su 5 (22,4%) è sotto la soglia standard dei 500 parti l’anno, al di sotto della quale è stato dimostrato che i criteri di qualità e sicurezza dell'assistenza risultano meno garantiti.
 
“Ci siamo voluti focalizzare su questi tre settori di intervento perché impattano in maniera importante sulla salute di un'ampia fascia di popolazione”, spiega il Direttore generale della Programmazione Sanitaria del Ministero, Andrea Urbani, dai cui uffici sono partite, proprio in questi giorni, 21 lettere alle Regioni e alle Province Autonome, per fornire gli elementi utili all’allineamento dell’offerta ospedaliera alle migliori pratiche sanitarie.
 
“Ad ogni Regione abbiamo indicato quali strutture non raggiungono questi standard - spiega - troppi reparti di chirurgia mammaria e di emodinamica non realizzano i volumi previsti, mentre numerosi studi dimostrano la correlazione tra il volume delle prestazioni annue realizzate in un reparto ed esito finale delle operazioni”, sottolinea. L'obiettvo, ora che le Regioni sono state messe al corrente dei problemi rilevati, sarebbe quello di vedere “entro 12 mesi il superamento di questi problemi”, aggiunge Urbani.
 
E se da un lato si parla di riprogrammazione delle strutture sanitarie regionali, dall'altro si mette in dubbio l'efficacia della politica fino ad oggi attuata, con particolare riferimento al Commissariamento delle Regioni, come strumento per il ripristino di un sistema mal funzionante: “Il modello di commissariamento delle Regioni pensato ormai più di 10 anni fa non è un modello che accompagni delle trasformazioni sanitarie e che ci permetta di intervenire in modo chirurgico nelle situazioni che non funzionano - afferma il Ministro - credo che sia necessario abbandonare il modello e pensarne uno nuovo che permetta allo Stato di intervenire sulle singole aziende: si entra un anno dentro la struttura in modo da cambiare la governance, agire sulla formazione e riprogrammazione dei servizi ospedalieri, dopodiché si riconsegna la struttura alla Regione. Le Regioni ci hanno messo più di 10 anni ad uscire da ciascun commissariamento, ci sarà pure un motivo”.
 
D'altra parte “il SSN sta vivendo un profondo cambiamento – aggunge Urbani - Da una gestione incentrata sulla spesa storica aggredita ciclicamente dai tagli lineari, si sta arrivando a un nuovo modello di gestione in cui si punta sull'analisi epidemiologica, sull'attento monitoraggio della spesa, sulla programmazione. Con tutti gli attori della Sanità - Regioni, Aziende ospedaliere, operatori privati - stiamo cercando di costruire una nuova governance che, anche a parità di risorse disponibili, riesce ad ottimizzare gli investimenti determinando un innalzamento dei livelli di assistenza e di cura, all'interno di un quadro di priorità definite con criteri oggettivi”, conclude.
 
Attilia Burke

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