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Risarcimento per responsabilità sanitaria: la legge Balduzzi (in assenza di disposizioni precedenti) vale anche per gli anni antecedenti alla sua emanazione

24 gennaio 2020 - La Cassazione (sentenza 1157/2020 della terza sezione civile) ha rinviato alla Corte di Appello una sentenza sulla richiesta di risarcimento per danni subiti da una paziente perché non era stata tenuta in debito conto la misura prevista dalla legge Balduzzi che la Cassazione dichiara retroattiva in questi casi se non esistono altre norme precedenti. LA SENTENZA.

La legge Balduzzi sulla responsabilità professionale vale, per quanto riguarda i risarcimenti del danno da colpa medica, anche per fatti precedenti alla sua entrata in vigore se non esistono disposizioni precedenti.

Lo ha stabilito la terza sezione civile della Corte di Cassazione (sentenza 1157/2020), respingendo la sentenza della Corte di Appello (rinviando la decisione alla Corte in diversa composizione) che non aveva tenuto conto della legge Balduzzi in cui si afferma che “il danno biologico conseguente l'attività dell'esercizio della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 (danno biologico ndr.) e 139 (danno biologico di lieve entità ndr) del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209”.

Il fatto
Una donna ha presentato ricorso per chiedere 76.083,63 euro di danni oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi, per i danni causato dall’intervento di mastopessi bilaterale e mastoplastica additiva al quale era stata sottoposta anni prima, presso una casa di cura. I danni erano riferiti ai “postumi invalidanti, riconducibili a negligenza e imperizia dell'operatore medico e degli altri sanitari che l'avevano avuta in cura”, “aggravati dall'imperizia con cui erano stati eseguiti i successivi interventi, l'ultimo dei quali effettuato” tre anni dopo il primo.

La casa di cura chiese il rigetto della domanda e chiamò in causa l’assicurazione garante per la responsabilità civile verso i terzi che a sua volta chiese il rigetto delle richieste per  “l'assenza di qualsiasi rapporto giuridico con il medico, libero professionista, con facoltà di utilizzo della struttura ospedaliera, a fronte di debita prenotazione, e dichiarò di volere estendere il contraddittorio nei confronti del sanitario per proporre domanda di manleva nei suoi confronti”.

Anche il medico, dal canto suo, chiese il rigetto della domanda, “evidenziando di aver eseguito le  operazioni  chirurgiche su mandato delle cliniche convenute, di non essere responsabile dei pregiudizi subiti dall'attrice  e,  comunque,  di  avere fatto sottoscrivere da quest'ultima il consenso informato, così rendendola edotta dei rischi derivanti dalle operazioni; dichiarò di voler chiamare in causa” la sua assicurazione garante per la responsabilità civile verso terzi con cui aveva stipulato la polizza di responsabilità civile, “per essere manlevato sia dalla domanda attrice che da quella proposta dalla casa di cura”.

La compagnia assicuratrice eccepì la prescrizione della copertura assicurativa perché il medico, fino dal 2006, aveva denunciato il sinistro, tramite broker nel 2008 e, quindi, era decorso il termine biennale di cui all'art 2952 cod. civ., “dedusse che la garanzia non poteva operare quanto al secondo e al terzo intervento chirurgico (aprile 2005/febbraio 2006) perché eseguiti quando la polizza risultava essere stata stornata (gennaio 2004).

La prima condanna del Tribunale fu di un risarcimento del danno di 26.641 euro (secondo le tabelle in uso al Tribunale di Milano)  e 20.518,50 oltre rivalutazione, interessi e interessi legali, riconoscendo la responsabilità professionale del medico che aveva eseguito i due interventi cui era stata sottoposta la paziente (mastopessi e mastoplastica additiva; capsulectomia sinistra) e delle strutture sanitarie.

All’ulteriore ricorso, la Corte di Appello (l’importo non era quello richiesto) riformando in parte la sentenza del Tribunale condannò le strutture a titolo di risarcimento del danno, al pagamento dell’importo previsto dal Tribunale, di 26.641 euro e di 7.518,50 euro, oltre alle spese accessorie “e diede atto della sussistenza  dei presupposti per il versamento  di un ulteriore importo, a    titolo    di    contributo    unificato,    pari    a    quello    previsto per l'impugnazione”.

La sentenza

Secondo la Cassazione, come anche esposto nell’ulteriore ricorso, nulla vietava di seguire le indicazioni della Balduzzi per una liquidazione equitativa del danno.

I giudici hanno precisato che vale la retroattività della legge perché non si tratta di sostituire una vecchia disciplina con una nuova. La nuova previsione del criterio tabellare non sostituisce una norma di legge anteriore che indicava un diverso criterio del danno.

Quindi la legge Balduzzi può essere applicata direttamente dal giudice che deve applicare il criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale ed è ininfluente che la condotta accusata sia stata commessa prima dell'entrata in vigore della legge.

La Cassazione dà ragione alla ricorrente sul fatto che “i parametri indicati dalla legge Balduzzi ben possono essere applicati, in assenza di disposizioni normative precedenti sul punto, anche a fatti anteriori alla  sua  entrata in vigore, in quanto una legge dello Stato prevale su una prassi giurisprudenziale, e, comunque, a tanto non osta l'art. 11 delle preleggi, atteso che la legge Balduzzi e le preleggi sono norme aventi il medesimo rango come fonti di diritto, sicché la prima ben può derogare alle seconde”.

Inoltre, spiega la Cassazione, “contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, pur a non voler ammettere un'applicazione retroattiva della legge Balduzzi, il nuovo e uniforme criterio normativo ben potrebbe essere utilizzato al fine di operare una liquidazione equitativa del danno, a nulla rilevando che il risultato sia più o meno favorevole al danneggiato”.

Secondo la sentenza “non risulta ostativa la circostanza che la condotta illecita sia stata commessa, e il danno si sia prodotto, anteriormente all'entrata in vigore della già richiamata legge; né può configurarsi una ingiustificata disparità di trattamento tra i soggetti coinvolti nei giudizi pendenti e i soggetti di giudizi definiti, atteso che solo la formazione del giudicato preclude una modifica retroattiva della regola giudiziale”.

E anche che “neppure può ipotizzarsi una lesione del legittimo affidamento sulla determinazione del valore monetario del danno in parola, posto che la norma sopravvenuta, non incidendo retroattivamente sugli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, non intacca situazioni giuridiche precostituite e acquisite al patrimonio del soggetto  leso, ma si rivolge direttamente al giudice, delimitandone l'ambito di discrezionalità e indicando il criterio tabellare quale parametro equitativo nella liquidazione del danno (Cass. 11/11/2019, n. 28990)”.

In conclusione secondo la Cassazione “la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla  Corte di appello di Milano, in diversa composizione”.

 

 

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