Associazione dei Ginecologi Italiani:
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Vaccini: come comunicare?

Sono trascorsi solamente alcuni decenni da quando i politici italiani si facevano soprattutto notare per le fumoserie dei loro discorsi e per le complicate elucubrazioni che rilasciavano alla stampa e alla televisione. Basta ricordare le “convergenze parallele” di Moro ed ecco che un intero modo di parlare e di fare politica riemerge dagli abissi della storia. Si, oramai questi modi di argomentare appartengono al passato. Da sempre rimproverati perché incapaci di rispondere con un semplice si o no a domande chiare e nette, oggi i politici si comportano in maniera diametralmente opposta. Se prima non prendevano mai posizione e si dimostravano maestri di equilibrismo, oggi posizione la prendono, eccome. E semplificano eccessivamente trincerandosi dietro a formule facili, o arrivando addirittura alla presa in giro e, peggio, all’insulto indirizzato verso le posizioni politiche contrarie.

Temi importanti, complessi, che richiedono argomentazioni talvolta sottili, vengono tagliati con l’accetta, incuranti del fatto che spesso una semplificazione eccessiva significa una falsa verità. Non è necessario fornire la dimostrazione di queste nostre osservazioni, basta aprire i giornali o ascoltare le dichiarazioni televisive dei leader dei partiti per rendersene conto. Anche il tema della vaccinazione è entrato in questo frullatore mediatico, dove tutti hanno soluzioni semplici in mano, dove si possono fare promesse roboanti e giurare di intraprendere azioni radicali, ben consci del fatto che si guadagnano più voti urlando soluzioni davvero troppo elementari che mantenendo coerenza e mente fredda.

E sul tema dei vaccini una riflessione seria e pensata serve proprio, così come serve una buona capacità di comunicare con chiarezza i vari aspetti del problema.

Come sociologo e studioso della comunicazione, mi sono impegnato a fondo per cercare di arricchire le capacità comunicative dei medici e per aumentare le loro possibilità di farsi comprendere. Il Master dedicato alla comunicazione per il mondo della salute e della medicina (Master Executive Health Communication in ginecologia), che si tiene quest’anno per la prima volta presso la università IULM di Milano, ne è prova e testimonianza. Perché, in fondo, certe fumoserie medico-scientifiche che mi è accaduto di ascoltare, sono la barriera dietro la quale ci si trincera per non comunicare, per difendersi, per non prendere posizione, proprio come facevano certi politici di venti, trent’anni fa. Tutti costoro avrebbero aderito volentieri al motto attribuito a Talleyrand: “La parola è stata data all’uomo per nascondere il suo pensiero.”

Il mondo della medicina, nella sua quasi totale interezza, è a favore dei vaccini. Le argomentazioni scientifiche e le prove sono schiaccianti: i vaccini sono indispensabili per abbattere la mortalità infantile e per rendere immune il gregge umano. Ma tutto questo per convincere non basta, non è sufficiente, soprattutto se usate una comunicazione infarcita di termini scientifici, quindi difensiva e fumosa; da prima repubblica, insomma. Se dite a una mente non coltivata scientificamente che la scienza ha provato questo e questo, che le statistiche dicono questo e questo, che le prove dimostrano questo e questo, vi si obietterà sempre che c’è stato un caso, una controprova, una persona che è morta dopo aver preso il vaccino, e che i vaccini sono voluti da Big Pharma, l’insieme delle grandi multinazionali farmaceutiche, con lo scopo di arricchirsi a spese della salute nostra e dei nostri bambini. I vaccini, insomma, sono pericolosi e non necessari, e poco importa se statisticamente e scientificamente le controargomentazioni non hanno rilievo, o se la logica che le sottende è zoppa. Si tratta di affermazioni da bar, e sono le stesse argomentazioni che si sentono da quei quei politici che annusano l’aria che tira, e se tira contro i vaccini, benissimo. Poiché il politico, indipendentemente da ciò in cui davvero crede, indipendentemente da ciò che è vero o falso, prenderà la posizione che porterà più voti al mulino del proprio partito, utilizzando le stesse argomentazioni banali del beone al bar. La politica italiana ha indubbiamente contribuito ad aggiungere confusione a confusione sul tema dei vaccini.

Ciononostante, prendendo a prestito le parole di Shakespeare, sbaglieremmo se decidessimo di bollare tutto questo come “una favola raccontata da un idiota, pena di rumore e furore, che non significa nulla.” Al contrario, bisogna ascoltare bene le controargomentazioni perché solamente così potremo trovare la corretta strada comunicativa per convincere e persuadere.

Partiamo dalla accusa: i vaccini non sono necessari. Si, è vero. Apparentemente non lo sono…oggi. Oggi che abbiamo raggiunto l’immunità di gregge, che è intorno al 95% della popolazione. Purtroppo tale immunità non è valida né stabile in eterno. Occorre rabboccarla continuamente, pena la discesa delle percentuali e il ritorno delle malattie. Torniamo ora alla prima accusa: i vaccini sono pericolosi. Spesso accade di ascoltare frasi del genere: ”Ma se la mia bambina non la vaccino, che pericolo corrono gli altri, che sono tutti già vaccinati?” Quindi, verrebbe logicamente da aggiungere, lasciamo pure ai figli degli altri gli eventuali rischi da vaccinazione, e salvaguardiamo mio figlio. Premesso che si corrono più rischi a uscire di casa che a vaccinarsi, questo è un tipico discorso che ritiene la società una astrazione, e solo l’individuo una realtà. Invece, proprio perché la società è viva e reale e ha determinate regole, essa richiede un vivere comune che pone talvolta limitazioni alla propria libertà. Quando un genitore propone quel tipo di discorso non vuole rendersi conto che se tutti si comportassero così, allora addio immunità di gregge. Gli italiani spesso dimenticano di fare parte di una società: sovente è il particulare Guicciardiniano che ci guida nei comportamenti e nelle scelte e purtroppo, così facendo, si va incontro solamente a catastrofi sociali.

Il paradosso della coperta sociologica ci dice che questa è indubbiamente stretta: se la si tira dal lato della sicurezza si deve accettare meno libertà. Se la si tira dal lato della libertà si deve accettare meno sicurezza. E il paradosso risiede nel fatto che a maggiore libertà si richiede invece sempre maggiore sicurezza e, viceversa, a maggiore sicurezza si richiede sempre maggiore libertà. Questo paradosso sociologico segue un suo percorso storico. Oggi le società pencolano dal lato della libertà, libertà per esempio di vaccinare o non vaccinare, ma attraverso una continua richiesta di maggior sicurezza. Eravamo più ubbidienti e più ignoranti cinquanta anni fa quando i vaccini non si mettevano in discussione? Probabilmente erano più freschi i ricordi di morti per virus e malattie che oggi sembrano debellati. Inoltre, i nuovi media hanno diffuso una conoscenza abborracciata, un rivestimento superficiale di conoscenze scientifiche che autorizzano a mettere in dubbio le certezze della medicina.

Tutto questo costringe il medico ad argomentare, a spiegare. Non ci si può più trincerare dietro una comunicazione difensiva, il sapere medico da solo non è più sufficiente per convincere. E allora? Allora è necessario comprendere a fondo i timori e le argomentazioni, per poterle controbattere. I comportamenti individualistici non servono e sono alla lunga controproducenti per gli individui stessi, questo bisogna farlo ben comprendere. D’altra parte il medico deve capire che il vaccino è una faccenda delicata, poiché lo si introietta, lo si lascia entrare nel proprio corpo, come il cibo. E se c’è tanta attenzione a quello che si ingerisce (e tanti dubbi sulla qualità dei cibi industriali, per esempio,) non deve stupire che ci sia tutta questa attenzione e questi timori verso i vaccini.

 

Mauro Ferraresi 

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