12 settembre – Uno studio pubblicato su The Lancet analizza il contributo economico dei Paesi del G7 e UE27 alla lotta contro l’antibioticoresistenza. L’Italia è l’unico Paese del G7 ad aver raggiunto i target di ricavi per due antibiotici innovativi, senza adottare meccanismi di incentivo diretto. Il risultato è attribuito a livelli di utilizzo elevati e a recenti politiche di rimborso.
In un recente studio pubblicato sulla rivista The Lancet eClinicalMedicine, un gruppo di ricercatori ha analizzato il contributo economico dei Paesi del G7 e dell’Unione Europea all’innovazione nel campo degli antibiotici, con particolare attenzione agli strumenti cosiddetti “pull”, pensati per sostenere economicamente lo sviluppo di nuovi farmaci antibatterici.
Il lavoro parte da un presupposto ormai condiviso a livello internazionale: la resistenza agli antibiotici rappresenta una minaccia crescente per la salute pubblica globale. Tuttavia, lo sviluppo di nuovi antibiotici non è economicamente attrattivo per le aziende farmaceutiche, poiché questi farmaci vengono utilizzati con cautela, in casi selezionati, e non garantiscono ricavi elevati. Per questo motivo, negli ultimi anni si è discusso molto su come creare un contesto economico favorevole all’innovazione nel settore.
Gli autori hanno cercato di capire se i principali Paesi ad alto reddito stiano contribuendo in modo equo, in base alla loro capacità economica, a sostenere la ricerca e lo sviluppo di antibiotici. In particolare, lo studio ha identificato una soglia di ricavi “equa” per ciascun Paese, proporzionale al Pil, e l’ha confrontata con i ricavi effettivamente generati dalla vendita di due antibiotici considerati rappresentativi: ceftazidime-avibactam e cefiderocol.
I due farmaci sono stati scelti perché hanno ottenuto una certa diffusione a livello internazionale e sono stati inclusi in programmi sperimentali di incentivazione (come quello britannico). L’analisi si è basata sui dati di vendita raccolti da IQVIA tra il 2015 e il 2024, e ha preso in considerazione tre possibili scenari: uno “basso”, uno “intermedio” (mid-range) e uno “alto”, con il valore intermedio fissato a circa 363 milioni di dollari l’anno per ciascun farmaco (valore aggiornato all’inflazione).
Tra i Paesi del G7, l’Italia è l’unica ad aver raggiunto, in modo cumulativo, il target di ricavi nel caso di entrambi i farmaci analizzati. È un dato rilevante perché, a differenza del Regno Unito – che ha adottato un modello di pagamento garantito alle aziende – l’Italia non ha attivato forme esplicite di incentivo economico nel periodo considerato.
Nel dettaglio:
 – Per ceftazidime-avibactam, i ricavi totali superano il livello richiesto di circa 288 milioni di dollari;
 – Per cefiderocol, il surplus è di circa 50 milioni di dollari.
 Questi risultati sembrano essere legati in parte a un utilizzo relativamente elevato dei farmaci, probabilmente dovuto a un contesto epidemiologico caratterizzato da una maggiore diffusione di ceppi resistenti. A ciò si aggiungono nuove politiche di rimborso, in particolare l’istituzione di un fondo nazionale per gli antibiotici “orfani”, approvato nel 2025 con una dotazione di 100 milioni di euro all’anno.
Nel Regno Unito, il superamento dei target annuali è stato reso possibile da un modello sperimentale di “abbonamento” pubblico: le aziende ricevono un pagamento fisso annuo, indipendente dal numero di dosi vendute. Questo approccio consente di garantire un ritorno economico certo, promuovendo al tempo stesso un uso prudente degli antibiotici (principio di stewardship). Tuttavia, anche con questo sistema, il Regno Unito non ha ancora raggiunto gli obiettivi cumulativi.
Francia, Germania, Giappone e Canada non risultano in linea con i target, nonostante alcune riforme nei rispettivi sistemi di rimborso. Negli Stati Uniti, i ricavi superano la soglia solo per uno dei due farmaci.
Uno degli aspetti più discussi dello studio riguarda la proposta di adottare su larga scala sistemi di incentivo delinked, cioè non legati al volume di vendite. L’idea è che i governi garantiscano alle aziende un certo livello di ricavi annuali per un numero limitato di anni (ad esempio dieci), a condizione che il farmaco venga registrato e reso disponibile nel Paese.
Nel caso italiano, se un simile sistema fosse stato attivato fin dall’inizio, il contributo pubblico avrebbe riguardato solo i primi anni dopo l’immissione in commercio, mentre già dal quarto o quinto anno i ricavi di mercato sarebbero stati sufficienti a coprire i target prefissati.
Lo studio mostra come, in un contesto complessivamente insoddisfacente, Italia e Regno Unito rappresentino due esempi di approcci diversi ma potenzialmente efficaci. L’esperienza italiana evidenzia che anche in assenza di incentivi espliciti, politiche di rimborso mirate e una maggiore domanda possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi economici per sostenere la ricerca.
Gli autori sottolineano che, affinché l’innovazione nel campo antibiotico sia davvero sostenibile, è necessario un impegno condiviso da parte dei Paesi con maggiori risorse economiche, e un coordinamento internazionale per evitare che l’onere ricada solo su pochi Stati.