14 novembre – I dati Ocse confermano che l’Italia continua a pagare meno, sia i medici specialisti sia gli infermieri, rispetto alla gran parte dei Paesi avanzati. I dottori italiani si attestano a 142 mila dollari a parità di poter d’acquisto (PPP), appena sopra la media ma distanti anni luce da Irlanda, Paesi Bassi e Germania. Per gli infermieri la situazione è ancora più preoccupante: 48 mila dollari, contro una media Ocse di 61 mila, con l’Italia in coda all’Europa occidentale.
Medici specialisti pagati meno dei colleghi del Nord Europa e infermieri tra i meno retribuiti di tutto l’Occidente avanzato: il nuovo quadro Ocse presente nel rapporto Health at a Glance 2025 sulle remunerazioni sanitarie fotografa con chiarezza un’Italia che fatica a restare competitiva sul terreno degli stipendi. Mentre altri Paesi europei ed extraeuropei investono per trattenere e attrarre professionisti, l’Italia arranca tra salari stagnanti, differenziali crescenti e una mobilità in uscita che indebolisce ulteriormente la capacità del Servizio sanitario nazionale di garantire qualità e continuità assistenziale.
Medici specialisti: Italia leggermente sopra la media, ma la distanza dai Paesi leader è enorme
Secondo la comparazione Ocse, i medici specialisti italiani guadagnano in media 142 mila USD PPP, un valore superiore alla media Ocse (133 mila USD PPP) ma ben lontano dai Paesi dove le retribuzioni sono più elevate.
I Paesi in testa
Irlanda: 256 mila
Paesi Bassi: 228 mila
Germania: 207 mila
Corea: 195 mila
Belgio: 170 mila
Danimarca: 163 mila
Regno Unito: 162 mila
L’Italia si colloca quindi in una fascia medio-alta, ma il gap con i leader europei è di 60-100 mila dollari l’anno.
I Paesi con retribuzioni inferiori o comparabili
Spagna: 133 mila
Francia: 115 mila
Slovenia / Polonia: tra 106 e 108 mila
Portogallo: 85 mila
Grecia: 75 mila
Bulgaria: 55 mila
Il posizionamento italiano resta quindi “di mezzo”: meglio del Sud Europa e dell’Est, ma troppo poco per evitare la concorrenza di sistemi molto più generosi.

Un problema strutturale: competitività salariale e scelta delle specialità
Il divario retributivo influisce direttamente sulle scelte dei giovani medici: i Paesi ad alta remunerazione attraggono specialisti da tutto il mondo, mentre quelli con retribuzioni più basse – come l’Italia – rischiano di perdere personale formato con risorse pubbliche.
Il fenomeno è particolarmente evidente nelle specialità più carenti in Italia: anestesia, pronto soccorso, radiologia e medicina interna.
Infermieristica: l’Italia tra le ultime in Europa occidentale
Se per i medici il posizionamento italiano è intermedio, per gli infermieri la situazione appare decisamente più critica. Gli infermieri italiani guadagnano in media 48 mila USD PPP, contro una media Ocse di 61 mila. Un divario di 13 mila dollari che diventa molto più ampio se confrontato con i Paesi ad alta retribuzione.
Gli effetti sul SSN: carenze, mobilità, difficoltà di reclutamento
La differenza retributiva non è solo un numero: è un fattore diretto della crisi di personale che il SSN sta vivendo. Un numero crescente di medici e infermieri italiani migra verso Germania, Svizzera, Regno Unito, Paesi nordici, Francia dove stipendi e condizioni lavorative risultano più favorevoli. Inoltre, secondo le stime delle associazioni infermieristiche mancano circa 70 mila infermieri, mentre le carenze di specialisti colpiscono soprattutto i reparti di emergenza-urgenza e le specialità ad alta complessità.
Il sotto-finanziamento della forza lavoro sanitaria compromette la capacità di: garantire turni adeguati, mantenere gli standard di qualità, coprire la crescente domanda legata all’invecchiamento della popolazione. Un quadro che rischia di diventare insostenibile senza interventi strutturali.
La fotografia Ocse è chiara: i medici italiani sono pagati in modo moderatamente competitivo, ma comunque lontano dai Paesi guida e gli infermieri italiani sono tra i meno retribuiti dell’Europa occidentale e sotto la media Ocse.
Se il SSN vuole restare attrattivo – e soprattutto funzionale – deve intervenire su entrambi i fronti con: politiche salariali mirate, percorsi di carriera più chiari, valorizzazione delle competenze e investimenti sulla forza lavoro.
L’alternativa è un progressivo indebolimento del sistema, già oggi sostenuto dalla professionalità di operatori spesso mal retribuiti rispetto al contesto internazionale.