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Ricoveri a rischio inappropriatezza. Ecco la mappa degli ospedali dove ce ne sono di più

5 dicembre – Nuovi dati mettono in luce l’ampia variabilità tra strutture ospedaliere e universitarie nella percentuale di ricoveri ordinari associati a DRG considerati ad alto rischio di inappropriatezza. Tra gli atenei, spiccano punte oltre il 21%. Un indicatore chiave per valutare l’efficienza delle degenze e l’uso corretto delle risorse.

La mappa dell’appropriatezza dei ricoveri ospedalieri in Italia continua a mostrare differenze marcate, spesso drammatiche, tra regioni e singole strutture. I dati Agenas più recenti sulla percentuale di ricoveri ordinari con DRG ad alto rischio di inappropriatezza delineano un quadro che interroga i decisori e solleva più di un dubbio sull’uso uniforme dei criteri clinico-organizzativi che dovrebbero orientare l’accesso alla degenza. “L’indicatore – scrive Agenas – rappresenta la percentuale di ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza in regime ordinario (108 DRG Patto della Salute 2010/2012). L’indicatore mira a valutare la bontà dell’organizzazione della rete ospedaliera, misurandone la capacità di erogare assistenza nel regime di ricovero più appropriato. Un valore elevato dell’indicatore viene interpretato negativamente, in quanto rappresenta una maggiore quota di ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza”.

Ospedali: Brescia e Niguarda ai valori più elevati

Nella graduatoria delle aziende ospedaliere non universitarie, i valori più alti si registrano agli Spedali Civili di Brescia, che raggiungono una soglia del 20,2%, seguiti a brevissima distanza dal Niguarda di Milano con il 20%. Sono percentuali che indicano un ricovero su cinque potenzialmente non appropriato secondo gli algoritmi utilizzati per l’analisi.
Seguono strutture molto diverse per dimensioni e bacini di utenza: dal Cardarelli di Napoli (18%) al San Gerardo di Monza (17,1%), passando per realtà insulari come il Brotzu di Cagliari (16,6%). Nel segmento centrale della classifica si collocano ospedali con valori compresi tra il 12 e il 15%, tra cui Perugia, Garibaldi di Catania, S. Croce e Carle di Cuneo, San Pio di Benevento e S. Carlo di Potenza.
La coda della classifica – con livelli decisamente più bassi – è occupata da ospedali come l’Azienda Ospedaliera Riuniti Villa Sofia-Cervello di Palermo (6,5%) e il Morelli di Reggio Calabria, che chiude con il 3,3%.

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Universitari: Vanvitelli prima con il 21%

Nella classifica delle aziende ospedaliere universitarie la variabilità è altrettanto marcata. Al primo posto figura la L. Vanvitelli di Napoli con il 21%, seguita dall’Umberto I di Roma (19,1%) e dalla Città della Salute e della Scienza di Torino (17,2%).
Subito sotto troviamo Bari (17,1%), Parma (17%) e Verona (16,6%). Sono valori che mostrano come anche le strutture a forte vocazione assistenziale-accademica possano presentare livelli significativi di ricoveri potenzialmente evitabili.
La fascia centrale oscilla tra il 13 e il 15% e comprende grandi policlinici del Nord come Padova, Milano, Modena, Pavia, ma anche realtà del Centro-Sud.
La parte finale della graduatoria include strutture con valori compresi tra l’8 e l’11%, con l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Foggia a chiudere al 8,5%.

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Un indicatore spia dell’organizzazione dei servizi territoriali

Il dato sui ricoveri con DRG ad alto rischio di inappropriatezza è spesso interpretato come un indicatore indiretto del funzionamento del sistema territoriale e della capacità delle strutture di indirizzare i pazienti verso percorsi alternativi (day hospital, ambulatoriale, cure intermedie) quando appropriato.
Quando i numeri salgono, alcune spiegazioni ricorrenti riguardano:

  •  Carenze nella rete territoriale, che spinge verso il ricovero casi borderline.
  • Scarsa diffusione di percorsi diagnostico-terapeutici condivisi.
  • Differenze nelle procedure di triage e accesso ai reparti.
  • Vincoli organizzativi interni (posti letto, turnazioni, capacità di gestione dei flussi).

All’opposto, valori molto bassi possono riflettere un uso molto selettivo della degenza, ma anche possibili differenze nei modelli di codifica o nell’interpretazione locale dei criteri.
La riduzione dei ricoveri evitabili rimane in ogni caso una delle leve principali per migliorare la qualità dell’assistenza, liberare risorse e migliorare l’esperienza dei pazienti. Ma perché ciò avvenga, serve un confronto aperto e continuo tra regioni, ospedali e policlinici, guidato da indicatori trasparenti e condivisi.