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Intervista a Filippo Anelli: “Medici italiani sottopagati. Peggio di noi solo Portogallo e Grecia. Politica mantenga le promesse”

26 novembre - “La lezione del Covid sembra essere ormai dimenticata, così come i giudizi espressi sui tagli e sui risparmi a spese della sanità. Intanto, il Servizio sanitario pubblico si svuota, perde la sua linfa vitale, il suo capitale umano. Siamo il terzultimo Paese in Europa sul fronte delle remunerazioni dei medici, davanti solo a Portogallo e Grecia. Ora credo sia il momento di focalizzarsi sulla dignità del lavoro di questi professionisti. Chiediamo al Governo, al Parlamento una particolare attenzione, un’attenzione straordinaria nei nostri confronti, affinché si sia messi nelle condizioni migliori per poter svolgere la nostra attività professionale.” Parla il presidente della Fnomceo.

Covid, “il rischio di una nuova ondata c’è sempre ma cominciamo a vedere la fine del tunnel. In ogni caso siamo sempre pronti a intervenire”.

Prevenzione, “causa Covid nel 2020 sono stati due milioni e mezzo in meno i casi di screening. Ora la situazione si sta normalizzando, ma ci sono ritardi sul fronte degli interventi chirurgici programmati”.

E ancora, “La lezione del Covid sembra essere ormai dimenticata, così come i giudizi espressi sui tagli e sui risparmi a spese della sanità. Intanto, il Servizio sanitario pubblico si svuota, perde la sua linfa vitale, il suo capitale umano. Contenzioso per risarcimenti per presunti casi di malasanità, amareggia questo fenomeno ma rischia di ritorcersi su chi lo incoraggia”.

E infine la stoccata finale: “Siamo il terzultimo Paese in Europa sul fronte delle remunerazioni dei medici, davanti solo a Portogallo e Grecia”.

A parlare è il presidente della Fnomceo Filippo Anelli che in questa intervista richiama il nuovo Governo e il nuovo Parlamento ad avere “una particolare attenzione, un’attenzione straordinaria nei confronti dei professionisti sanitari, affinché siano messi nelle condizioni migliori per poter svolgere la loro attività professionale”.

Presidente Anelli, prima di parlare di questioni più generali che riguardano la salute degli italiani e il fondamentale ruolo dei medici e del personale sanitario, vorrei farle due domande su fatti di questi giorni. Prendiamo il caso dei medici che sono andati in soccorso dei migranti a bordo delle navi. Questo intervento è stato criticato dal governo, e la presidente del Consiglio l’ha definito addirittura bizzarro. Come valuta questa reazione?
Credo che si sia trattato di un episodio isolato, e che il presidente del Consiglio abbia usato questa espressione “colorita” sull’onda dell’emotività. In generale, è ovvio – ma sono convinto che lo sia anche per il Presidente – che una cosa è la valutazione politica, altra è la valutazione professionale che deve essere libera, autonoma, indipendente da ogni condizionamento.

A proposito di bizzarria, l’altra domanda riguarda la decisione del governo di riammettere i medici no vax ventilando anche il condono delle multe. Vorrei il suo spassionato parere di presidente dell’Ordine nazionale.
Guardi, anche in questo caso è inappropriato parlare di “bizzarria”: la situazione epidemiologica e la stessa malattia sono profondamente cambiate rispetto al 2021, quando fu introdotto l’obbligo. Lo stesso Consiglio nazionale della Fnomceo, l’assemblea dei 106 presidenti degli Ordini territoriali, già a luglio aveva chiesto una revisione della normativa sull’obbligo. Teniamo poi presenti due fattori: l’obbligo si sarebbe in ogni caso esaurito al 31 dicembre; quindi, parliamo di un anticipo di due mesi. E i medici non vaccinati sono veramente pochi: sono circa 4000 tra medici e odontoiatri, lo 0,85% dei 473.592 iscritti. Di questi, inoltre, solo una piccola parte lavoravano nel servizio sanitario nazionale e tornano quindi in attività. I sindacati Anaao – Assomed e Fimmg stimano che siano in Italia meno di mille i medici realmente da reintegrare. Numeri infinitesimali, che non spostano la situazione. Si tratta di una decisione di buon senso, che può servire a riportare a un clima di normalità.

Ritiene che dovrebbe quantomeno farsi una distinzione, a proposito della riammissione, tra il personale medico e il personale sanitario, come proponeva il virologo prof Bassetti in una intervista a beemagazine di qualche giorno fa?
Credo che le regole debbano valere allo stesso modo per tutte le professioni sanitarie, così come allo stesso modo i diversi Ordini sono stati coinvolti dalla legge sull’obbligo. Questo perché le diverse professioni sono complementari e sinergiche e tutte le competenze sono indispensabili al Servizio sanitario nazionale.

I medici no vax - ha detto Bassetti - non credono nei vaccini e quindi non li somministrano ai pazienti, ma è grazie ai vaccini che è stata vinta la battaglia campale contro la pandemia. Questi medici tradiscono il giuramento di Ippocrate e dovrebbero cambiare mestiere. E’ un giudizio severo, esagerato?
Se ci saranno da fare valutazioni deontologiche, saranno gli Ordini territoriali, che ne hanno la competenza, dovendo svolgerle in autonomia, a farle. Da parte nostra, già nel 2016 la Fnomceo ha approvato un Documento sui vaccini, di natura deontologica, che, nel ribadirne l’importanza per la salute pubblica, afferma che “Il consiglio di non vaccinarsi” in assenza ovviamente di controindicazioni specifiche, “in particolare se fornito al pubblico con qualsiasi mezzo, costituisce infrazione deontologica”.

Il governo, per voce della presidente del Consiglio nel discorso di presentazione alle Camere, ha dato atto alla classe medica, e al personale sanitario naturalmente, dell’impegno e del sacrificio che hanno consentito di debellare la fase acuta della pandemia. Elogi che fanno piacere, ma voi come Ordine dei medici avete delle richieste concrete da fare al governo?
L’Italia si aspetta veramente tanto dal Governo e dal Parlamento in una situazione nazionale e internazionale difficile. Sono tante anche le attese dei medici e dei professionisti, che si aspettano da questo Governo una particolare attenzione. Il Servizio sanitario nazionale è fatto soprattutto da donne e uomini che esercitano le loro professioni, medici e professionisti sanitari, e attraverso di loro garantiamo il diritto alla salute, così come previsto dall’articolo 32 della Costituzione. Ora credo che sia il momento di focalizzarsi sulla dignità del lavoro di questi professionisti, sulla dignità del lavoro del medico messa in discussione dalle carenze, dalle difficoltà organizzative. Chiediamo al Governo, al Parlamento che dovrà approvare la Legge finanziaria, una particolare attenzione, un’attenzione straordinaria nei confronti di questi professionisti, affinché siano messi nelle condizioni migliori per poter svolgere la loro attività professionale. Abbiamo visto come le organizzazioni sindacali abbiano avviato una fase di mobilitazione perché il livello di difficoltà nell’esercizio della professione è diventato molto alto: i giovani oggi vogliono vedere, per il futuro, stabilità e soprattutto certezze; e queste certezze le deve dare la politica.

Lei ritiene che ormai siamo fuori pericolo dalla pandemia o c’è sempre il rischio di una nuova ondata? Andando in giro si ha la sensazione di un generale allentamento delle precauzioni
Il rischio di una nuova ondata c’è sempre, anche se, come ha recentemente rilevato l’Oms, cominciamo a vedere la fine del tunnel della pandemia. Sempre l’Oms ha però precisato: “un maratoneta non si ferma quando si vede il traguardo. Corre più forte, con tutta l'energia che gli è rimasta ed è quello che dobbiamo fare noi”. Per questo non si fermano la sorveglianza epidemiologica, il sistema di monitoraggio del rischio, e siamo sempre pronti a intervenire con misure adeguate.

Sempre sul covid, la presidente del Consiglio ha detto che, nella malaugurata ipotesi di una recrudescenza del fenomeno, il Governo non farebbe come hanno fatto i precedenti governi per affrontare la situazione. Secondo Lei ci sono misure tra quelle più contestate che non dovrebbero essere ripetute?
Le misure messe in campo erano adeguate e calibrate sulla situazione: un virus nuovo, con una mortalità e una contagiosità elevate, sul quale le nostre conoscenze erano tutte in divenire. Oggi, a distanza di quasi tre anni, la situazione è profondamente mutata, ed è mutato anche il virus. L’auspicio, corroborato dalle evidenze scientifiche, è che non si ripresentino, nel breve periodo, le condizioni per le quali sono state necessarie misure drastiche come i lockdown. In ogni caso, abbiamo enti come il Ministero della Salute, l’Istituto superiore di Sanità e organismi consultivi come il Consiglio superiore di Sanità che possono dare in breve tempo risposte adeguate.

Lei come presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici avrà un quadro generale della situazione sanitaria nel Paese. C’è carenza di medici? E in quali settori soprattutto? Oggi qual è il fabbisogno di personale medico distribuito sulla penisola?
La stima è che già oggi, tra ospedale e territorio, manchino quasi 20mila medici: 4500 nei pronto soccorso, 10mila nei reparti ospedalieri, più di 4000 medici di medicina generale. La situazione potrebbe peggiorare nei prossimi cinque anni, quando andranno in pensione 35.200 medici di famiglia.
Tra le cause della carenza, il tetto di spesa per le assunzioni in vigore da oltre 15 anni e che prevede che le Regioni non possono spendere più di quanto hanno fatto nel 2004 togliendo poi l’1,4 per cento, e la mancata programmazione. Se per gli specialisti sono finalmente state aumentate le borse sino a riassorbire il cosiddetto “imbuto formativo”, causato dalla differenza tra il numero di laureati e quello dei posti nelle scuole di specializzazione, molta strada va ancora fatta per la Medicina Generale, per la quale vanno aumentate le borse per il corso di formazione specifica. E poi, va reso attrattivo il lavoro nei settori dove maggiore è il disagio dei colleghi: l’emergenza-urgenza territoriale e ospedaliera (118 e pronto soccorso), alcuni reparti a rischio di aggressioni e denunce, la medicina territoriale, dei medici di famiglia e della continuità assistenziale.

Come Fnomceo potete fare qualcosa per limitare, se non risolvere, il problema delle file nelle prenotazioni di visite specialistiche o esami strumentali? Ci sono casi da vero scandalo, l’attesa di una tac o di una risonanza per mesi
Il problema delle liste di attesa si può risolvere, una volta per tutte, in una maniera: rivalutando e riorganizzando la medicina del territorio, in maniera che possa farsi carico delle cronicità e adeguando il numero dei professionisti sul territorio e in ospedale alle reali necessità dell’assistenza. Bisogna puntare sui medici di medicina generale, farli lavorare in equipe con altri professionisti sanitari, infermieri, fisioterapisti, psicologi, dotarli di assistenti di studio e di personale amministrativo e metterli in connessione con gli specialisti territoriali. Vanno dotati di strumentazione adeguata, per renderli in grado di effettuare servizi diagnostici di prima istanza e di somministrare terapie. Questo consentirebbe di dare risposte di salute ai cittadini là dove servono e quando servono, portando le prestazioni “al letto del malato” senza spostamenti inutili e controproducenti.

Con le strutture ospedaliere e i medici occupati quasi per intero dall’emergenza covid, sono stati trascurati almeno due fronti: la prevenzione, uno dei cardini di una politica sanitaria efficiente, e il rinvio delle cure per malati affetti da varie e gravi patologie, per far posto ai malati di covid. Si sta tornando alla normalità su questi due fronti?
È vero: l’emergenza pandemica ha ritardato l’esecuzione di esami diagnostici quali mammografie, ricerca del sangue occulto nelle feci e colonscopie. Secondo l’Osservatorio nazionale screening, complessivamente nel 2020 sono stati eseguiti circa 2 milioni e mezzo di screening in meno rispetto al 2019. Di conseguenza, sono stati 3300 i carcinomi mammari e 1300 quelli colorettali diagnosticati in ritardo. Per invitare le persone alla prevenzione, abbiamo fatto una campagna in collaborazione con il Ministero della Salute, che esortava ad affrontare la questione il medico di famiglia, il professionista che meglio ci conosce e che rappresenta, così come il pediatra di libera scelta, il primo punto di accesso e l’interfaccia tra i cittadini e il Servizio sanitario nazionale.
La percezione è che, per gli screening la situazione si stia normalizzando: sono ripresi i programmi gratuiti di prevenzione delle Regioni e anche nel settore privato la situazione è tornata alla normalità. Qualche ritardo, invece, si registra ancora per le terapie, in particolare per gli interventi chirurgici programmati, che devono scontare l’aver dovuto convertire interi reparti alla cura del covid, sottraendo risorse – finanziarie ma anche umane – alla cura delle altre patologie

In quali settori delle malattie è più urgente l’opera di prevenzione?
Penso soprattutto ai tumori e alle malattie cardiovascolari. Ma anche alle patologie psichiatriche, a quelle neurodegenerative, al diabete.
Dobbiamo agire per combattere quella che abbiamo definito la “pandemia silenziosa”: l’insieme di tutte le altre malattie, che non sono Covid, ma delle quali il Covid ha ritardato diagnosi e cura. Patologie acute e croniche, non meno gravi del Covid, con esiti spesso mortali. Che non sono state individuate in fase precoce oppure sono state curate male, perché tutto il personale era dirottato sull’emergenza.

La professione del medico, a parte l’alto valore etico e sociale, era una volta considerata una professione che dava agiatezza. Poi si è data la colpa alle mutue – ricordiamo i film di Alberto Sordi – che hanno portato a un livellamento verso il basso. L’agiatezza ora è per gli specialisti e per chi lavora nel privato. C’è di fatto una impiegatizzazione se non una proletarizzazione del medico? Come pensate di affrontare questo problema?
Credo che il riconoscimento del ruolo etico e sociale della professione medica e il riconoscimento economico vadano di pari passo, siano due facce della stessa medaglia. In questi ultimi anni, prima della pandemia, c’è stato un progressivo svilimento del ruolo del medico, visto – dalla politica ma anche dai cittadini – come “super tecnico”, come “prestatore d’opera”. Un modello aziendalistico della sanità, dove i medici erano visti come fattori produttivi e i pazienti come voci di spesa, e dove si privilegiavano gli equilibri di bilancio agli obiettivi di salute. Abbiamo cercato di cambiare questa situazione, con gli “Stati Generali della professione medica e odontoiatrica”, prima, e poi sollevando la “Questione medica”. Ed effettivamente, qualcosa si è smosso.

Con quali risultati, presidente Anelli?
I medici sono tornati ad essere considerati dalla Politica, per il loro ruolo anche sociale, che ha non soltanto sostenuto il Servizio sanitario nazionale, ma tenuto insieme il paese nei giorni più drammatici della pandemia. Pandemia che, d’altro canto, ha evidenziato ed esacerbato tutte le difficoltà che la Professione medica incontra nel garantire l’assistenza ai cittadini. Difficoltà spesso frutto di un contesto organizzativo e normativo di politica sanitaria che risente del tempo e che mostra l’esigenza di una riforma di sistema, soprattutto ora che la pandemia ha rivoluzionato le dinamiche assistenziali di ogni ambito in cui la Professione si trova a operare, evidenziandone criticità e limiti. Criticità e un conseguente disagio trasversale di tutte le componenti della Professione, dagli ospedalieri ai medici di famiglia, dai medici del 118 agli specialisti ambulatoriali, dagli specializzandi ai medici della continuità assistenziale, dai medici delle RSA a quelli dell’ospedalità privata, dagli Odontoiatri fino ad arrivare ai liberi professionisti puri anche loro alle prese con specifici problemi di gestione assistenziale. I medici si sono fatti carico, con generosità e senso di responsabilità, dell’assistenza dei pazienti in questo momento drammatico per il nostro Paese, nonostante le carenze di personale, la non adeguatezza degli strumenti e dei modelli di assistenza. Lo hanno fatto senza compensazioni di sorta. Continuando con gli straordinari non pagati, con i turni prolungati oltre la timbratura, con i giorni di ferie persi. Con i compensi per attività nuove, come la vaccinazione anti-covid per i medici di famiglia, fermi a quelli di vent’anni fa per attività ormai ordinarie; eppure, criticati dai media e dalla politica. Con modalità operative che trascurano le norme sulla sicurezza, sottoponendoli prima al rischio di contagio, ora alla recrudescenza delle aggressioni.

C’è il Pnrr…
Le risorse previste dal PNRR per rilanciare la sanità riguardano prevalentemente interventi sul piano strutturale. Nulla è previsto per i professionisti, che pure sono i pilastri del Servizio sanitario pubblico. Per questo, conoscendo la sensibilità dell’attuale maggioranza per il ruolo delle Professioni, ci aspettavamo un intervento del Governo tramite la Legge finanziaria. Intervento che, sino ad ora, non sembra essere previsto. E non siamo solo noi a dirlo, ma la stessa Corte dei Conti, che, nella sua memoria sulla Nadef 2022 ha ammonito: “Andrà verificato se un profilo di finanziamento (e di spesa) quale quello prefigurato nei quadri tendenziali sia compatibile con le necessità che ancora caratterizzano il comparto e, in particolare, con la soddisfazione dei fabbisogni di personale legati anche alla riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR e con le spese connesse all’aumento dei costi dell’energia”.

Lei naturalmente condivide queste preoccupazioni
Condividiamo queste preoccupazioni: il mancato investimento sui professionisti sanitari rappresenta un duro colpo per il Servizio sanitario nazionale. Rinvia di un anno soluzioni che potrebbero essere adottate subito per fermare l’emorragia di medici verso il privato e verso l’estero. Di questo passo, il rischio che il sistema salti è molto concreto.
La lezione del Covid sembra essere ormai dimenticata, così come i giudizi espressi sui tagli e sui risparmi a spese della sanità. Intanto, il Servizio sanitario pubblico si svuota, perde la sua linfa vitale, il suo capitale umano. Già ad aprile, durante la Conferenza nazionale sulla Questione medica, avevamo reso pubblici i risultati di un’indagine demoscopica compiuta dall’Istituto Piepoli: un medico italiano su tre, potendo, andrebbe subito in pensione. E, a sognare di appendere al chiodo il camice bianco, è proprio la “fetta” più giovane della Professione, quella che dovrebbe essere più motivata ed entusiasta: il 25% dei medici tra i 25 e 34 anni e il 31% di quelli tra i 35 e i 44 anni.
Un dato allarmante che esprime la crisi in cui versa il nostro Servizio sanitario nazionale. Così, i Pronto soccorso, i reparti ospedalieri, la medicina generale diventano sempre meno attrattivi per i professionisti. I reparti e il territorio si svuotano di medici e personale, le liste di attesa si ingrossano, le disuguaglianze di salute si acuiscono. Non siamo solo noi medici, solo noi operatori a dirlo: lo evidenziano i giudici contabili, lo scontano ogni giorno i cittadini, lo documentano i media.
È il momento di invertire la rotta: auspichiamo che il Governo individui le risorse che sono necessarie, anzi indispensabili e urgenti per sostenere il Servizio sanitario nazionale.

Immagino che per il suo ruolo, presidente, avrà una interlocuzione con il nuovo ministro della Salute. Senza voler anticipare i dettagli, che cosa chiede la Fnomceo al nuovo governo?
Credo che puntare sempre di più sulle professioni sia fondamentale. Alla vigilia del dibattito parlamentare sulla Legge finanziaria credo che sia doveroso da parte nostra richiamare la politica a un senso di responsabilità verso il Servizio Sanitario Nazionale. Investire nel Servizio sanitario nazionale oggi ci sembra il richiamo più importante che vorremmo rivolgere alla politica. Non servono soltanto interventi normativi: servono in questo momento risorse. Servono ai medici, sempre più preoccupati delle loro condizioni, al punto che in tanti decidono di lasciare il proprio posto di lavoro e andare a lavorare fuori dal Servizio sanitario nazionale o addirittura all’estero. Servono per i pazienti, che molto spesso si ritrovano senza medici di famiglia o senza le necessarie cure. Insomma, noi chiediamo alla politica di passare dalle parole ai fatti e di considerare i professionisti della Salute la vera risorsa del nostro Servizio sanitario nazionale.

Cosa pensa delle associazioni di tutela dei cittadini che in realtà finiscono per drammatizzare il rapporto medici - pazienti incitando al contenzioso, alle cause di risarcimento? I medici lamentano di non sentirsi tutelati loro e segnalano che le assicurazioni hanno aumentato a dismisura i costi per assicurare i medici.
È giusto che le associazioni tutelino i cittadini ed è sacrosanto che questi ultimi, se realmente danneggiati, ottengano un equo risarcimento. Ciò che risulta inaccettabile è l’evidente finalità di promozione della conflittualità giudiziaria tra medici e pazienti, che si cerca di ottenere, invogliando ad azioni di rivalsa nei confronti dei medici, degli odontoiatri e del SSN, chiunque, a torto o a ragione, si ritenga non soddisfatto di una prestazione ricevuta. Una conflittualità acuita dalla crisi economica, e dal miraggio di ottenere un po’ di denaro, anche quando non ci sia un presupposto giuridico.
Più che dalle associazioni di consumatori, questa “promozione del contenzioso” è messa in atto da chi, a sua volta, intravede un facile guadagno: studi professionali, dei quali spesso non è facile individuare i rappresentanti, testate e siti internet che mirano al clickbait.

Lei presidente che giudizio dà su questo fenomeno?
Siamo profondamente amareggiati dai toni e dai contenuti di questi messaggi. E non perché il medico, come del resto tutti i cittadini, non sia passibile di denuncia, nel momento in cui sia dimostrabile un errore a lui imputabile. Siamo amareggiati perché, in maniera tendenziosa, si fa passare il messaggio che ottenere un risarcimento per presunta malasanità sia facile e quasi scontato. Non è così: i cittadini devono sapere, per completezza di informazione, che nel 90% dei casi la responsabilità del medico o dell’ospedale non viene dimostrata, e il denunciante può essere esposto a una controquerela per diffamazione o per calunnia. Addirittura, una recente sentenza del Tribunale Civile di Catania, dichiarato inesistente il danno, ha condannato il paziente a pagare le spese legali degli avvocati difensori del medico, della struttura e delle compagnie assicurative, oltre che per responsabilità aggravata, per un totale di circa novantamila euro.
Siamo amareggiati perché la diffusione di un simile e superficiale messaggio danneggia tutti: danneggia chi denuncia, attratto dal miraggio di facili guadagni e costretto a pagare spese legali per cause senza ‘fumus’; danneggia il Servizio Sanitario nazionale, che deve anticipare le spese legali per difendersi e che viene vieppiù vessato dall’iperprescrizione di visite ed esami dovuta alla cosiddetta ‘medicina difensiva’; danneggia i cittadini, che si vedono sottratte risorse che a loro appartengono, e che dovrebbero essere destinate alle cure. Soprattutto, procura un vulnus difficilmente rimarginabile alla Relazione di cura, a quell’affidarsi reciproco di medico e paziente che è alla base di ogni terapia e di ogni guarigione.

Mi richiamo alla domanda sulle retribuzioni dei medici nel pubblico. Si lamentano di non essere adeguatamente retribuiti, e nel confronto con altri paesi europei i medici italiani pur bravi fanno la figura dei parenti poveri.
Hanno ragione. Secondo quanto ha affermato Antonio Magi, presidente dell'Ordine dei medici di Roma, nel corso del congresso 'La sanità europea del futuro' svoltosi a Bruxelles, siamo il terzultimo Paese in Europa sul fronte delle remunerazioni dei medici, davanti solo a Portogallo e Grecia. La Spagna, quartultimo Paese della classifica, offre ai propri professionisti ben 35mila euro lordi in più all'anno. È dunque necessario che l'Italia si adegui agli stipendi del resto d'Europa. Con questi presupposti, infatti, è ovvio che molti giovani medici italiani decidano di andare all'estero: hanno offerte economicamente più allettanti e contratti stabili che gli consentono di crearsi una famiglia. Un medico inizia a lavorare intorno ai 30 anni, dopo 11 anni di formazione e nel nostro Paese, oltre a remunerazioni basse, gli vengono offerti contratti a tempo determinato, ossia precariato. Andando avanti così la fuga verso gli altri Paesi è inevitabile e andrà ad aumentare la carenza, già grave, di specialisti. È necessario dunque intervenire per dare serenità ai nostri giovani e farli restare nel nostro Paese. Questa è una denuncia che, come Fnomceo mettiamo in atto da anni: è del 2019 la nostra campagna “Offre l’Italia”, volta a sensibilizzare sull’emorragia dei nostri giovani colleghi verso l’estero. Emorragia che il Covid, che ha mostrato in tutta la loro drammaticità e ha acuito le carenze del nostro Servizio sanitario nazionale, non ha fatto che accelerare. Il mancato investimento sui medici sta provocando una lesione della dignità del loro lavoro. Sempre più medici lasciano il SSN perché questa professione sta perdendo attrattività, anche a causa dei carichi di lavoro, di un aumento del burnout e una retribuzione tra le più basse in Europa. Eppure, Senza medici non può esserci un efficiente Servizio Sanitario Nazionale. È questo l’appello che rivolgiamo al Governo: investiamo sui professionisti, mettiamo più risorse, diamo loro più peso nelle decisioni nella gestione della sanità. Solo così potremo conservare il nostro Servizio Sanitario Nazionale.

Mario Nanni
Copyright BeeMagazine e Quotidiano Sanità

Covid, “il rischio di una nuova ondata c’è sempre ma cominciamo a vedere la fine del tunnel. In ogni caso siamo sempre pronti a intervenire”.

Prevenzione, “causa Covid nel 2020 sono stati due milioni e mezzo in meno i casi di screening. Ora la situazione si sta normalizzando, ma ci sono ritardi sul fronte degli interventi chirurgici programmati”.

E ancora, “La lezione del Covid sembra essere ormai dimenticata, così come i giudizi espressi sui tagli e sui risparmi a spese della sanità. Intanto, il Servizio sanitario pubblico si svuota, perde la sua linfa vitale, il suo capitale umano. Contenzioso per risarcimenti per presunti casi di malasanità, amareggia questo fenomeno ma rischia di ritorcersi su chi lo incoraggia”.

E infine la stoccata finale: “Siamo il terzultimo Paese in Europa sul fronte delle remunerazioni dei medici, davanti solo a Portogallo e Grecia”.

A parlare è il presidente della Fnomceo Filippo Anelli che in questa intervista richiama il nuovo Governo e il nuovo Parlamento ad avere “una particolare attenzione, un’attenzione straordinaria nei confronti dei professionisti sanitari, affinché siano messi nelle condizioni migliori per poter svolgere la loro attività professionale”.

Presidente Anelli, prima di parlare di questioni più generali che riguardano la salute degli italiani e il fondamentale ruolo dei medici e del personale sanitario, vorrei farle due domande su fatti di questi giorni. Prendiamo il caso dei medici che sono andati in soccorso dei migranti a bordo delle navi. Questo intervento è stato criticato dal governo, e la presidente del Consiglio l’ha definito addirittura bizzarro. Come valuta questa reazione?
Credo che si sia trattato di un episodio isolato, e che il presidente del Consiglio abbia usato questa espressione “colorita” sull’onda dell’emotività. In generale, è ovvio – ma sono convinto che lo sia anche per il Presidente – che una cosa è la valutazione politica, altra è la valutazione professionale che deve essere libera, autonoma, indipendente da ogni condizionamento.

A proposito di bizzarria, l’altra domanda riguarda la decisione del governo di riammettere i medici no vax ventilando anche il condono delle multe. Vorrei il suo spassionato parere di presidente dell’Ordine nazionale.
Guardi, anche in questo caso è inappropriato parlare di “bizzarria”: la situazione epidemiologica e la stessa malattia sono profondamente cambiate rispetto al 2021, quando fu introdotto l’obbligo. Lo stesso Consiglio nazionale della Fnomceo, l’assemblea dei 106 presidenti degli Ordini territoriali, già a luglio aveva chiesto una revisione della normativa sull’obbligo. Teniamo poi presenti due fattori: l’obbligo si sarebbe in ogni caso esaurito al 31 dicembre; quindi, parliamo di un anticipo di due mesi. E i medici non vaccinati sono veramente pochi: sono circa 4000 tra medici e odontoiatri, lo 0,85% dei 473.592 iscritti. Di questi, inoltre, solo una piccola parte lavoravano nel servizio sanitario nazionale e tornano quindi in attività. I sindacati Anaao – Assomed e Fimmg stimano che siano in Italia meno di mille i medici realmente da reintegrare. Numeri infinitesimali, che non spostano la situazione. Si tratta di una decisione di buon senso, che può servire a riportare a un clima di normalità.

Ritiene che dovrebbe quantomeno farsi una distinzione, a proposito della riammissione, tra il personale medico e il personale sanitario, come proponeva il virologo prof Bassetti in una intervista a beemagazine di qualche giorno fa?
Credo che le regole debbano valere allo stesso modo per tutte le professioni sanitarie, così come allo stesso modo i diversi Ordini sono stati coinvolti dalla legge sull’obbligo. Questo perché le diverse professioni sono complementari e sinergiche e tutte le competenze sono indispensabili al Servizio sanitario nazionale.

I medici no vax – ha detto Bassetti - non credono nei vaccini e quindi non li somministrano ai pazienti, ma è grazie ai vaccini che è stata vinta la battaglia campale contro la pandemia. Questi medici tradiscono il giuramento di Ippocrate e dovrebbero cambiare mestiere. E’ un giudizio severo, esagerato?
Se ci saranno da fare valutazioni deontologiche, saranno gli Ordini territoriali, che ne hanno la competenza, dovendo svolgerle in autonomia, a farle. Da parte nostra, già nel 2016 la Fnomceo ha approvato un Documento sui vaccini, di natura deontologica, che, nel ribadirne l’importanza per la salute pubblica, afferma che “Il consiglio di non vaccinarsi” in assenza ovviamente di controindicazioni specifiche, “in particolare se fornito al pubblico con qualsiasi mezzo, costituisce infrazione deontologica”.

Il governo, per voce della presidente del Consiglio nel discorso di presentazione alle Camere, ha dato atto alla classe medica, e al personale sanitario naturalmente, dell’impegno e del sacrificio che hanno consentito di debellare la fase acuta della pandemia. Elogi che fanno piacere, ma voi come Ordine dei medici avete delle richieste concrete da fare al governo?
L’Italia si aspetta veramente tanto dal Governo e dal Parlamento in una situazione nazionale e internazionale difficile. Sono tante anche le attese dei medici e dei professionisti, che si aspettano da questo Governo una particolare attenzione. Il Servizio sanitario nazionale è fatto soprattutto da donne e uomini che esercitano le loro professioni, medici e professionisti sanitari, e attraverso di loro garantiamo il diritto alla salute, così come previsto dall’articolo 32 della Costituzione. Ora credo che sia il momento di focalizzarsi sulla dignità del lavoro di questi professionisti, sulla dignità del lavoro del medico messa in discussione dalle carenze, dalle difficoltà organizzative. Chiediamo al Governo, al Parlamento che dovrà approvare la Legge finanziaria, una particolare attenzione, un’attenzione straordinaria nei confronti di questi professionisti, affinché siano messi nelle condizioni migliori per poter svolgere la loro attività professionale. Abbiamo visto come le organizzazioni sindacali abbiano avviato una fase di mobilitazione perché il livello di difficoltà nell’esercizio della professione è diventato molto alto: i giovani oggi vogliono vedere, per il futuro, stabilità e soprattutto certezze; e queste certezze le deve dare la politica.

Lei ritiene che ormai siamo fuori pericolo dalla pandemia o c’è sempre il rischio di una nuova ondata? Andando in giro si ha la sensazione di un generale allentamento delle precauzioni
Il rischio di una nuova ondata c’è sempre, anche se, come ha recentemente rilevato l’Oms, cominciamo a vedere la fine del tunnel della pandemia. Sempre l’Oms ha però precisato: “un maratoneta non si ferma quando si vede il traguardo. Corre più forte, con tutta l'energia che gli è rimasta ed è quello che dobbiamo fare noi”. Per questo non si fermano la sorveglianza epidemiologica, il sistema di monitoraggio del rischio, e siamo sempre pronti a intervenire con misure adeguate.

Sempre sul covid, la presidente del Consiglio ha detto che, nella malaugurata ipotesi di una recrudescenza del fenomeno, il Governo non farebbe come hanno fatto i precedenti governi per affrontare la situazione. Secondo Lei ci sono misure tra quelle più contestate che non dovrebbero essere ripetute?
Le misure messe in campo erano adeguate e calibrate sulla situazione: un virus nuovo, con una mortalità e una contagiosità elevate, sul quale le nostre conoscenze erano tutte in divenire. Oggi, a distanza di quasi tre anni, la situazione è profondamente mutata, ed è mutato anche il virus. L’auspicio, corroborato dalle evidenze scientifiche, è che non si ripresentino, nel breve periodo, le condizioni per le quali sono state necessarie misure drastiche come i lockdown. In ogni caso, abbiamo enti come il Ministero della Salute, l’Istituto superiore di Sanità e organismi consultivi come il Consiglio superiore di Sanità che possono dare in breve tempo risposte adeguate.

Lei come presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici avrà un quadro generale della situazione sanitaria nel Paese. C’è carenza di medici? E in quali settori soprattutto? Oggi qual è il fabbisogno di personale medico distribuito sulla penisola?
La stima è che già oggi, tra ospedale e territorio, manchino quasi 20mila medici: 4500 nei pronto soccorso, 10mila nei reparti ospedalieri, più di 4000 medici di medicina generale. La situazione potrebbe peggiorare nei prossimi cinque anni, quando andranno in pensione 35.200 medici di famiglia.
Tra le cause della carenza, il tetto di spesa per le assunzioni in vigore da oltre 15 anni e che prevede che le Regioni non possono spendere più di quanto hanno fatto nel 2004 togliendo poi l’1,4 per cento, e la mancata programmazione. Se per gli specialisti sono finalmente state aumentate le borse sino a riassorbire il cosiddetto “imbuto formativo”, causato dalla differenza tra il numero di laureati e quello dei posti nelle scuole di specializzazione, molta strada va ancora fatta per la Medicina Generale, per la quale vanno aumentate le borse per il corso di formazione specifica. E poi, va reso attrattivo il lavoro nei settori dove maggiore è il disagio dei colleghi: l’emergenza-urgenza territoriale e ospedaliera (118 e pronto soccorso), alcuni reparti a rischio di aggressioni e denunce, la medicina territoriale, dei medici di famiglia e della continuità assistenziale.

Come Fnomceo potete fare qualcosa per limitare, se non risolvere, il problema delle file nelle prenotazioni di visite specialistiche o esami strumentali? Ci sono casi da vero scandalo, l’attesa di una tac o di una risonanza per mesi
Il problema delle liste di attesa si può risolvere, una volta per tutte, in una maniera: rivalutando e riorganizzando la medicina del territorio, in maniera che possa farsi carico delle cronicità e adeguando il numero dei professionisti sul territorio e in ospedale alle reali necessità dell’assistenza. Bisogna puntare sui medici di medicina generale, farli lavorare in equipe con altri professionisti sanitari, infermieri, fisioterapisti, psicologi, dotarli di assistenti di studio e di personale amministrativo e metterli in connessione con gli specialisti territoriali. Vanno dotati di strumentazione adeguata, per renderli in grado di effettuare servizi diagnostici di prima istanza e di somministrare terapie. Questo consentirebbe di dare risposte di salute ai cittadini là dove servono e quando servono, portando le prestazioni “al letto del malato” senza spostamenti inutili e controproducenti.

Con le strutture ospedaliere e i medici occupati quasi per intero dall’emergenza covid, sono stati trascurati almeno due fronti: la prevenzione, uno dei cardini di una politica sanitaria efficiente, e il rinvio delle cure per malati affetti da varie e gravi patologie, per far posto ai malati di covid. Si sta tornando alla normalità su questi due fronti?
È vero: l’emergenza pandemica ha ritardato l’esecuzione di esami diagnostici quali mammografie, ricerca del sangue occulto nelle feci e colonscopie. Secondo l’Osservatorio nazionale screening, complessivamente nel 2020 sono stati eseguiti circa 2 milioni e mezzo di screening in meno rispetto al 2019. Di conseguenza, sono stati 3300 i carcinomi mammari e 1300 quelli colorettali diagnosticati in ritardo. Per invitare le persone alla prevenzione, abbiamo fatto una campagna in collaborazione con il Ministero della Salute, che esortava ad affrontare la questione il medico di famiglia, il professionista che meglio ci conosce e che rappresenta, così come il pediatra di libera scelta, il primo punto di accesso e l’interfaccia tra i cittadini e il Servizio sanitario nazionale.
La percezione è che, per gli screening la situazione si stia normalizzando: sono ripresi i programmi gratuiti di prevenzione delle Regioni e anche nel settore privato la situazione è tornata alla normalità. Qualche ritardo, invece, si registra ancora per le terapie, in particolare per gli interventi chirurgici programmati, che devono scontare l’aver dovuto convertire interi reparti alla cura del covid, sottraendo risorse – finanziarie ma anche umane – alla cura delle altre patologie

In quali settori delle malattie è più urgente l’opera di prevenzione?
Penso soprattutto ai tumori e alle malattie cardiovascolari. Ma anche alle patologie psichiatriche, a quelle neurodegenerative, al diabete.
Dobbiamo agire per combattere quella che abbiamo definito la “pandemia silenziosa”: l’insieme di tutte le altre malattie, che non sono Covid, ma delle quali il Covid ha ritardato diagnosi e cura. Patologie acute e croniche, non meno gravi del Covid, con esiti spesso mortali. Che non sono state individuate in fase precoce oppure sono state curate male, perché tutto il personale era dirottato sull’emergenza.

La professione del medico, a parte l’alto valore etico e sociale, era una volta considerata una professione che dava agiatezza. Poi si è data la colpa alle mutue – ricordiamo i film di Alberto Sordi – che hanno portato a un livellamento verso il basso. L’agiatezza ora è per gli specialisti e per chi lavora nel privato. C’è di fatto una impiegatizzazione se non una proletarizzazione del medico? Come pensate di affrontare questo problema?
Credo che il riconoscimento del ruolo etico e sociale della professione medica e il riconoscimento economico vadano di pari passo, siano due facce della stessa medaglia. In questi ultimi anni, prima della pandemia, c’è stato un progressivo svilimento del ruolo del medico, visto – dalla politica ma anche dai cittadini – come “super tecnico”, come “prestatore d’opera”. Un modello aziendalistico della sanità, dove i medici erano visti come fattori produttivi e i pazienti come voci di spesa, e dove si privilegiavano gli equilibri di bilancio agli obiettivi di salute. Abbiamo cercato di cambiare questa situazione, con gli “Stati Generali della professione medica e odontoiatrica”, prima, e poi sollevando la “Questione medica”. Ed effettivamente, qualcosa si è smosso.

Con quali risultati, presidente Anelli?
I medici sono tornati ad essere considerati dalla Politica, per il loro ruolo anche sociale, che ha non soltanto sostenuto il Servizio sanitario nazionale, ma tenuto insieme il paese nei giorni più drammatici della pandemia. Pandemia che, d’altro canto, ha evidenziato ed esacerbato tutte le difficoltà che la Professione medica incontra nel garantire l’assistenza ai cittadini. Difficoltà spesso frutto di un contesto organizzativo e normativo di politica sanitaria che risente del tempo e che mostra l’esigenza di una riforma di sistema, soprattutto ora che la pandemia ha rivoluzionato le dinamiche assistenziali di ogni ambito in cui la Professione si trova a operare, evidenziandone criticità e limiti. Criticità e un conseguente disagio trasversale di tutte le componenti della Professione, dagli ospedalieri ai medici di famiglia, dai medici del 118 agli specialisti ambulatoriali, dagli specializzandi ai medici della continuità assistenziale, dai medici delle RSA a quelli dell’ospedalità privata, dagli Odontoiatri fino ad arrivare ai liberi professionisti puri anche loro alle prese con specifici problemi di gestione assistenziale. I medici si sono fatti carico, con generosità e senso di responsabilità, dell’assistenza dei pazienti in questo momento drammatico per il nostro Paese, nonostante le carenze di personale, la non adeguatezza degli strumenti e dei modelli di assistenza. Lo hanno fatto senza compensazioni di sorta. Continuando con gli straordinari non pagati, con i turni prolungati oltre la timbratura, con i giorni di ferie persi. Con i compensi per attività nuove, come la vaccinazione anti-covid per i medici di famiglia, fermi a quelli di vent’anni fa per attività ormai ordinarie; eppure, criticati dai media e dalla politica. Con modalità operative che trascurano le norme sulla sicurezza, sottoponendoli prima al rischio di contagio, ora alla recrudescenza delle aggressioni.

C’è il Pnrr…
Le risorse previste dal PNRR per rilanciare la sanità riguardano prevalentemente interventi sul piano strutturale. Nulla è previsto per i professionisti, che pure sono i pilastri del Servizio sanitario pubblico. Per questo, conoscendo la sensibilità dell’attuale maggioranza per il ruolo delle Professioni, ci aspettavamo un intervento del Governo tramite la Legge finanziaria. Intervento che, sino ad ora, non sembra essere previsto. E non siamo solo noi a dirlo, ma la stessa Corte dei Conti, che, nella sua memoria sulla Nadef 2022 ha ammonito: “Andrà verificato se un profilo di finanziamento (e di spesa) quale quello prefigurato nei quadri tendenziali sia compatibile con le necessità che ancora caratterizzano il comparto e, in particolare, con la soddisfazione dei fabbisogni di personale legati anche alla riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR e con le spese connesse all’aumento dei costi dell’energia”.

Lei naturalmente condivide queste preoccupazioni
Condividiamo queste preoccupazioni: il mancato investimento sui professionisti sanitari rappresenta un duro colpo per il Servizio sanitario nazionale. Rinvia di un anno soluzioni che potrebbero essere adottate subito per fermare l’emorragia di medici verso il privato e verso l’estero. Di questo passo, il rischio che il sistema salti è molto concreto.
La lezione del Covid sembra essere ormai dimenticata, così come i giudizi espressi sui tagli e sui risparmi a spese della sanità. Intanto, il Servizio sanitario pubblico si svuota, perde la sua linfa vitale, il suo capitale umano. Già ad aprile, durante la Conferenza nazionale sulla Questione medica, avevamo reso pubblici i risultati di un’indagine demoscopica compiuta dall’Istituto Piepoli: un medico italiano su tre, potendo, andrebbe subito in pensione. E, a sognare di appendere al chiodo il camice bianco, è proprio la “fetta” più giovane della Professione, quella che dovrebbe essere più motivata ed entusiasta: il 25% dei medici tra i 25 e 34 anni e il 31% di quelli tra i 35 e i 44 anni.
Un dato allarmante che esprime la crisi in cui versa il nostro Servizio sanitario nazionale. Così, i Pronto soccorso, i reparti ospedalieri, la medicina generale diventano sempre meno attrattivi per i professionisti. I reparti e il territorio si svuotano di medici e personale, le liste di attesa si ingrossano, le disuguaglianze di salute si acuiscono. Non siamo solo noi medici, solo noi operatori a dirlo: lo evidenziano i giudici contabili, lo scontano ogni giorno i cittadini, lo documentano i media.
È il momento di invertire la rotta: auspichiamo che il Governo individui le risorse che sono necessarie, anzi indispensabili e urgenti per sostenere il Servizio sanitario nazionale.

Immagino che per il suo ruolo, presidente, avrà una interlocuzione con il nuovo ministro della Salute. Senza voler anticipare i dettagli, che cosa chiede la Fnomceo al nuovo governo?
Credo che puntare sempre di più sulle professioni sia fondamentale. Alla vigilia del dibattito parlamentare sulla Legge finanziaria credo che sia doveroso da parte nostra richiamare la politica a un senso di responsabilità verso il Servizio Sanitario Nazionale. Investire nel Servizio sanitario nazionale oggi ci sembra il richiamo più importante che vorremmo rivolgere alla politica. Non servono soltanto interventi normativi: servono in questo momento risorse. Servono ai medici, sempre più preoccupati delle loro condizioni, al punto che in tanti decidono di lasciare il proprio posto di lavoro e andare a lavorare fuori dal Servizio sanitario nazionale o addirittura all’estero. Servono per i pazienti, che molto spesso si ritrovano senza medici di famiglia o senza le necessarie cure. Insomma, noi chiediamo alla politica di passare dalle parole ai fatti e di considerare i professionisti della Salute la vera risorsa del nostro Servizio sanitario nazionale.

Cosa pensa delle associazioni di tutela dei cittadini che in realtà finiscono per drammatizzare il rapporto medici - pazienti incitando al contenzioso, alle cause di risarcimento? I medici lamentano di non sentirsi tutelati loro e segnalano che le assicurazioni hanno aumentato a dismisura i costi per assicurare i medici.
È giusto che le associazioni tutelino i cittadini ed è sacrosanto che questi ultimi, se realmente danneggiati, ottengano un equo risarcimento. Ciò che risulta inaccettabile è l’evidente finalità di promozione della conflittualità giudiziaria tra medici e pazienti, che si cerca di ottenere, invogliando ad azioni di rivalsa nei confronti dei medici, degli odontoiatri e del SSN, chiunque, a torto o a ragione, si ritenga non soddisfatto di una prestazione ricevuta. Una conflittualità acuita dalla crisi economica, e dal miraggio di ottenere un po’ di denaro, anche quando non ci sia un presupposto giuridico.
Più che dalle associazioni di consumatori, questa “promozione del contenzioso” è messa in atto da chi, a sua volta, intravede un facile guadagno: studi professionali, dei quali spesso non è facile individuare i rappresentanti, testate e siti internet che mirano al clickbait.

Lei presidente che giudizio dà su questo fenomeno?
Siamo profondamente amareggiati dai toni e dai contenuti di questi messaggi. E non perché il medico, come del resto tutti i cittadini, non sia passibile di denuncia, nel momento in cui sia dimostrabile un errore a lui imputabile. Siamo amareggiati perché, in maniera tendenziosa, si fa passare il messaggio che ottenere un risarcimento per presunta malasanità sia facile e quasi scontato. Non è così: i cittadini devono sapere, per completezza di informazione, che nel 90% dei casi la responsabilità del medico o dell’ospedale non viene dimostrata, e il denunciante può essere esposto a una controquerela per diffamazione o per calunnia. Addirittura, una recente sentenza del Tribunale Civile di Catania, dichiarato inesistente il danno, ha condannato il paziente a pagare le spese legali degli avvocati difensori del medico, della struttura e delle compagnie assicurative, oltre che per responsabilità aggravata, per un totale di circa novantamila euro.
Siamo amareggiati perché la diffusione di un simile e superficiale messaggio danneggia tutti: danneggia chi denuncia, attratto dal miraggio di facili guadagni e costretto a pagare spese legali per cause senza ‘fumus’; danneggia il Servizio Sanitario nazionale, che deve anticipare le spese legali per difendersi e che viene vieppiù vessato dall’iperprescrizione di visite ed esami dovuta alla cosiddetta ‘medicina difensiva’; danneggia i cittadini, che si vedono sottratte risorse che a loro appartengono, e che dovrebbero essere destinate alle cure. Soprattutto, procura un vulnus difficilmente rimarginabile alla Relazione di cura, a quell’affidarsi reciproco di medico e paziente che è alla base di ogni terapia e di ogni guarigione.

Mi richiamo alla domanda sulle retribuzioni dei medici nel pubblico. Si lamentano di non essere adeguatamente retribuiti, e nel confronto con altri paesi europei i medici italiani pur bravi fanno la figura dei parenti poveri.
Hanno ragione. Secondo quanto ha affermato Antonio Magi, presidente dell'Ordine dei medici di Roma, nel corso del congresso 'La sanità europea del futuro' svoltosi a Bruxelles, siamo il terzultimo Paese in Europa sul fronte delle remunerazioni dei medici, davanti solo a Portogallo e Grecia. La Spagna, quartultimo Paese della classifica, offre ai propri professionisti ben 35mila euro lordi in più all'anno. È dunque necessario che l'Italia si adegui agli stipendi del resto d'Europa. Con questi presupposti, infatti, è ovvio che molti giovani medici italiani decidano di andare all'estero: hanno offerte economicamente più allettanti e contratti stabili che gli consentono di crearsi una famiglia. Un medico inizia a lavorare intorno ai 30 anni, dopo 11 anni di formazione e nel nostro Paese, oltre a remunerazioni basse, gli vengono offerti contratti a tempo determinato, ossia precariato. Andando avanti così la fuga verso gli altri Paesi è inevitabile e andrà ad aumentare la carenza, già grave, di specialisti. È necessario dunque intervenire per dare serenità ai nostri giovani e farli restare nel nostro Paese. Questa è una denuncia che, come Fnomceo mettiamo in atto da anni: è del 2019 la nostra campagna “Offre l’Italia”, volta a sensibilizzare sull’emorragia dei nostri giovani colleghi verso l’estero. Emorragia che il Covid, che ha mostrato in tutta la loro drammaticità e ha acuito le carenze del nostro Servizio sanitario nazionale, non ha fatto che accelerare. Il mancato investimento sui medici sta provocando una lesione della dignità del loro lavoro. Sempre più medici lasciano il SSN perché questa professione sta perdendo attrattività, anche a causa dei carichi di lavoro, di un aumento del burnout e una retribuzione tra le più basse in Europa. Eppure, Senza medici non può esserci un efficiente Servizio Sanitario Nazionale. È questo l’appello che rivolgiamo al Governo: investiamo sui professionisti, mettiamo più risorse, diamo loro più peso nelle decisioni nella gestione della sanità. Solo così potremo conservare il nostro Servizio Sanitario Nazionale.

Mario Nanni
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