Cancro del seno e chemioterapia. Per i tumori iniziali HER2-positivi, “si può fare di meno ottenendo di più”. Lo studio internazionale
24 marzo - Studi sulla “de-escalation” (modulazione di intensità) condotti dallo IEO hanno dimostrato che una chemioterapia più “leggera” è in effetti sicura ed efficace, e permette alle pazienti di vivere a lungo e con meno effetti collaterali sull’organismo. I risultati del nuovo studio internazionale, pubblicato su Lancet Oncology.
La terapia adiuvante per le pazienti con un tumore del seno “HER2-positivo” può essere ridotta di intensità, ottenendo, anche nel lungo termine, stessa efficacia e minore tossicità.
Lo conferma una ricerca appena pubblicata sulla rivista Lancet Oncology, corredata da un editoriale del Prof. Giuseppe Curigliano, Direttore della Divisione Nuovi farmaci per Terapie Innovative dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e Professore di Oncologia Medica all’Università Statale di Milano.
I tumori HER2-positivi rappresentano il 15% di tutti i nuovi casi di carcinoma mammario e si caratterizzano per la sovraespressione della proteina HER2, che li rende biologicamente aggressivi e resistenti ad alcuni farmaci anticancro. Proprio in virtù della sovraespressione di HER2, però, questi tumori rispondono all’anticorpo monoclonale Trastuzumab, che viene quindi associato a diversi chemioterapici nei trattamenti standard.
“Questo lavoro rappresenta una pietra miliare nella storia del cancro della mammella: abbiamo definitivamente dimostrato che per i tumori iniziali HER2-positivi, “si può fare di meno ottenendo di più – dichiara Curigliano – il lavoro pubblicato oggi completa un percorso iniziato dal mio gruppo in IEO nel 2009, quando abbiamo dimostrato che i tumori HER2-positivi in stadio iniziale hanno in realtà una prognosi molto buona, se diagnosticati in fase molto precoce, e quindi possono essere trattati con terapie chemioterapiche meno aggressive e meno tossiche”.
Da lì sono partiti gli studi sulla “de-escalation” (modulazione di intensità), che hanno dimostrato che una chemioterapia più “leggera” è in effetti sicura ed efficace, e permette alle pazienti di vivere a lungo e con meno effetti collaterali sull’organismo.
“Questo risultato ha immediatamente cambiato la pratica clinica – prosegue Curigliano – e il lavoro appena pubblicato aggiunge ora un tassello importante: la de-escalation mantiene il suo beneficio anche nel lungo termine, oltre i 10 anni. Il lavoro scientifico ha anche dimostrato che, nel futuro, potremmo identificare quelle pazienti in cui “fare di più” potrebbe essere utile, ma anche e soprattutto che in altre pazienti, “fare ancora di meno” è possibile, con l’uso di un nuovo marcatore, denominato HER2DX.”
“Nel lavoro su Lancet Oncology, insieme a Sara Tolaney e altri otto colleghi del Dana Farber Cancer Institute, presentiamo un’analisi dei risultati a 10 anni dello studio di riferimento sulla de-escalation – spiega Paolo Tarantino, coautore dello studio e ricercatore del team di Curigliano allo IEO – Su 406 pazienti coinvolte nella sperimentazione, il tasso di sopravvivenza legata al tumore mammario è stato del 98.8% a 10 anni, con sole sei recidive a distanza. I nostri dati supportano quindi l’ipotesi che il regime di cura de-escalato (in termine tecnico APT, ossia Adjuvant Paclitaxel Trastuzumab) rappresenti un adeguato standard terapeutico per piccoli tumori mammari HER2-positivi, permettendo di evitare gli effetti collaterali degli schemi poli-chemioterapici. Ci siamo inoltre concentrati – prosegue – su una più attenta selezione delle pazienti, identificando una relazione significativa fra il valore di HER2DX, un nuovo strumento diagnostico capace di descrivere numerose caratteristiche del cancro mammario HER2-positivo, e l’evoluzione della malattia. HER2DX rappresenta un promettente biomarcatore di rischio, che, se validato, permetterà in futuro una personalizzazione dei trattamenti in base alla biologia di ciascun tumore HER2-positivo”.
“Sotto l’egida della Società Europea di Oncologia Medica il nostro gruppo ha recentemente sviluppato uno strumento di classificazione per definire la de-escalation delle terapie oncologiche – aggiunge Dario Trapani , oncologo medico Ieo e ricercatore all’Università Statale di Milano – l’obiettivo è suggerire una metodologia per il disegno di studi di de-escalation potenzialmente per tutti i tipi di tumore, e offrire ai colleghi degli organi regolatori uno strumento per valutare terapie ed approcci di cura innovativi volti a migliorare il profilo di tossicità dei trattamenti oncologici, mantenendo la stessa efficacia”.