Forte divario tra Regioni: in Sardegna niente visite ed esami per quasi uno su 5. A Bolzano invece uno su 20
17 ottobre – Nel 2024 il 9,9% degli italiani ha rinunciato a prestazioni sanitarie necessarie, in aumento rispetto al 7,6% del 2023. Le principali cause sono le lunghe liste d’attesa e le difficoltà economiche. Forti le disuguaglianze territoriali e di genere: in Sardegna il tasso raggiunge il 17,2%, tra le donne il 13%. Colpiti anche i laureati e le fasce centrali d’età, con un trend in crescita trasversale. Il fenomeno solleva interrogativi sulla reale equità del sistema sanitario nazionale.
A livello europeo, l’Italia si presenta in una posizione relativamente favorevole per quanto riguarda il mancato accesso alle cure mediche: secondo i dati Eurostat EU-SILC per il 2023, solo l’1,8% della popolazione italiana ha rinunciato a visite mediche, un dato stabile dal 2021 e inferiore alla media UE sia a 20 (2,2%) che a 27 (2,4%). Tuttavia, osservando la situazione da una prospettiva interna, il quadro si complica.

Il Quaderno n. 4 della Corte dei Conti, dedicato all’analisi del Servizio sanitario nazionale, mette in luce una realtà ben più critica. I dati raccolti da Istat nell’ambito del monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) indicano un tasso di rinuncia alle prestazioni sanitarie pari al 9,9% nel 2024, in aumento rispetto al 7,6% registrato l’anno precedente. Le principali cause sono riconducibili alle lunghe liste d’attesa (6,8%, con un incremento di 2,3 punti percentuali rispetto al 2023) e alle difficoltà economiche (5,3%).
Le disuguaglianze territoriali sono marcate: nel Nord Italia la quota di rinuncia è del 9,2%, mentre sale al 10,7% nel Centro e al 10,3% nel Mezzogiorno. In Sardegna si registra il dato più alto con il 17,2% della popolazione coinvolta, contro il 5,3% della Provincia Autonoma di Bolzano. Anche il genere incide: rinunciano più le donne (11,4%) rispetto agli uomini (8,3%).
Nel Centro Italia, la quota di donne che rinunciano sale al 13%, mentre nel Mezzogiorno si registra il valore più basso tra gli uomini (8,5%). Le motivazioni variano: al Centro e al Nord prevalgono le liste d’attesa, mentre nel Sud le rinunce si distribuiscono equamente tra motivi economici e tempi di attesa.

L’età rappresenta un ulteriore fattore critico: la quota di rinuncia cresce fino ai 45-54 anni (13,4%) e poi si mantiene elevata tra le fasce più anziane. Rispetto al 2023, si registra un aumento in quasi tutte le classi d’età, con una variazione complessiva di +2,3 punti percentuali.

Infine, il fenomeno appare trasversale anche rispetto al titolo di studio. Rinunciano il 10,6% delle persone con basso titolo di studio, l’11,4% dei diplomati e il 10,4% dei laureati, con incrementi significativi rispetto all’anno precedente in tutte le categorie.

Il quadro che emerge è quello di un fenomeno strutturale e crescente, che colpisce fasce sempre più ampie della popolazione italiana, con un impatto differenziato e diseguale. Un campanello d’allarme per la tenuta dell’universalismo del Servizio sanitario nazionale.