Il Papa e Meloni agli Stati Generali della Natalità. Bergoglio: “Invertire la tendenza, servono politiche lungimiranti”. La premier: “Questo tema è priorità assoluta per Governo”
12 maggio - Dopo l’appello di Mattarella nel messaggio rivolto alla platea, che sottolineava come la Costituzione sia il primo riferimento da tenere in mente nell’impegno a sostenere le famiglie, il pontefice e il presidente del Consiglio fanno il loro intervento puntando sull’inclusione sociale e l’accoglienza, con un appello a lasciare l’ideologia da parte.
“La nascita dei figli è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo. Se ne nascono pochi vuol dire che c’è poca speranza. E questo non ha solo ricadute dal punto di vista economico e sociale, ma mina la fiducia nell’avvenire”.
Con queste parole Papa Francesco è intervenuto oggi agli Stati Generali della Natalità a Roma, citando gli ultimi dati Istat sul calo demografico in Italia: “Ho saputo – ha detto - che lo scorso anno l’Italia ha toccato il minimo storico di nascite: appena 393mila nuovi nati. È un dato che rivela una grande preoccupazione per il domani. Oggi mettere al mondo dei figli viene percepito come un’impresa a carico delle famiglie. E questo, purtroppo, condiziona la mentalità delle giovani generazioni, che crescono nell’incertezza, se non nella disillusione e nella paura. Vivono un clima sociale in cui metter su famiglia si sta trasformando in uno sforzo titanico, anziché essere un valore condiviso che tutti riconoscono e sostengono”.
Bergoglio va avanti: “Sentirsi soli e costretti a contare esclusivamente sulle proprie forze è pericoloso: vuol dire erodere lentamente il vivere comune e rassegnarsi a esistenze solitarie, in cui ciascuno deve fare da sé. Con la conseguenza che solo i più ricchi possono permettersi, grazie alle loro risorse, maggiore libertà nello scegliere che forma dare alle proprie vite. E questo è ingiusto, oltre che umiliante. Forse mai come in questo tempo, tra guerre, pandemie, spostamenti di massa e crisi climatiche, il futuro pare incerto. Tutto va veloce e pure le certezze acquisite passano in fretta. Infatti, la velocità che ci circonda accresce la fragilità che ci portiamo dentro. In questo contesto di incertezza e fragilità, le giovani generazioni sperimentano più di tutti una sensazione di precarietà, per cui il domani sembra una montagna impossibile da scalare. Difficoltà a trovare un lavoro stabile, difficoltà a mantenerlo, case dal costo proibitivo, affitti alle stelle e salari insufficienti sono problemi reali. Sono problemi - osserva - che interpellano la politica, perché è sotto gli occhi di tutti che il mercato libero, senza gli indispensabili correttivi, diventa selvaggio e produce situazioni e disuguaglianze sempre più gravi. E ancora, per descrivere il contesto in cui ci troviamo, penso a una cultura poco amica, se non nemica, della famiglia, centrata com’è sui bisogni del singolo, dove si reclamano continui diritti individuali e non si parla dei diritti della famiglia. Per le donne vi sono condizionamenti quasi insormontabili. Le più danneggiate sono proprio loro, giovani donne spesso costrette al bivio tra carriera e maternità, oppure schiacciate dal peso della cura per le proprie famiglie, soprattutto in presenza di anziani fragili e persone non autonome. Occorrono politiche lungimiranti. Occorre predisporre un terreno fertile per far fiorire una nuova primavera e lasciarci alle spalle questo inverno demografico. E, visto che il terreno è comune, come comuni sono la società e il futuro, è necessario affrontare il problema insieme, senza steccati ideologici e prese di posizione preconcette. È vero che, anche con il vostro aiuto, parecchio è stato fatto e di questo sono tanto grato, ma ancora non basta. Bisogna cambiare mentalità: la famiglia - dice - non è parte del problema, ma della sua soluzione. E allora mi chiedo: c’è qualcuno che sa guardare avanti con il coraggio di scommettere sulle famiglie, sui bambini, sui giovani? Non possiamo accettare che la nostra società smetta di essere generativa e degeneri nella tristezza. Non possiamo accettare passivamente che tanti giovani fatichino a concretizzare il loro sogno familiare e siano costretti ad abbassare l’asticella del desiderio, accontentandosi di surrogati privati e mediocri: fare soldi, puntare alla carriera, viaggiare, custodire gelosamente il tempo libero. Tutte cose buone e giuste quando rientrano in un progetto generativo, che dona vita attorno a sé e dopo di sé; se invece rimangono solo aspirazioni individuali, inaridiscono nell’egoismo e portano a quella stanchezza interiore che anestetizza i grandi desideri e caratterizza la nostra società come società della stanchezza! Ridiamo fiato - ammonisce Francesco - ai desideri di felicità dei giovani! Ognuno di noi sperimenta qual è l’indice della propria felicità: quando ci sentiamo ripieni di qualcosa che genera speranza e riscalda l’animo, e viene spontaneo farne partecipi gli altri. Al contrario, quando siamo tristi ci difendiamo, ci chiudiamo e percepiamo tutto come una minaccia”.
“Ecco, la natalità, così come l’accoglienza, che non vanno mai contrapposte perché sono due facce della stessa medaglia, ci rivelano quanta felicità c’è nella società. Una comunità felice sviluppa naturalmente i desideri di generare e di integrare, mentre una società infelice si riduce a una somma di individui che cercano di difendere a tutti i costi quello che hanno. Dopo aver condiviso queste preoccupazioni che porto nel cuore, vorrei consegnarvi una parola che mi è cara: speranza. La sfida della natalità è questione di speranza. Ma attenzione, la speranza non è, come spesso si pensa, ottimismo, non è un vago sentimento positivo sull’avvenire. Non è illusione o emozione; è una virtù concreta. E ha a che fare con scelte concrete. Ridare impulso alla natalità vuol dire riparare le forme di esclusione sociale che stanno colpendo i giovani e il loro futuro. Ed è un servizio per tutti: i figli non sono beni individuali, ma persone che contribuiscono alla crescita di tutti, apportando ricchezza umana e generazionale. La speranza - ricorda Francesco- si nutre dell’impegno per il bene da parte di ciascuno, cresce quando ci sentiamo partecipi e coinvolti nel dare senso alla vita nostra e degli altri. Alimentare la speranza è dunque un’azione sociale, intellettuale, artistica, politica nel senso più alto della parola; è mettere le proprie capacità e risorse al servizio del bene comune, è seminare futuro. La speranza genera cambiamento e migliora l’avvenire”.
Bergoglio pensa agli “Stati generali della Natalità come a un cantiere di speranza. Un cantiere dove non si lavora su commissione, perché qualcuno paga, ma dove si lavora tutti insieme proprio perché tutti vogliono sperare. E allora vi auguro che questa edizione sia l’occasione per ‘allargare il cantiere’, per creare, a più livelli, una grande alleanza di speranza. Qui è bello vedere il mondo della politica, delle imprese, delle banche, dello sport, dello spettacolo, del giornalismo riuniti per ragionare su come passare dall’inverno alla primavera demografica. Su come ricominciare a nascere, non solo fisicamente, ma interiormente, per venire alla luce ogni giorno e illuminare di speranza il domani. Non rassegniamoci al grigiore e al pessimismo sterile. Non crediamo che la storia sia già segnata, che non si possa fare nulla per invertire la tendenza. Perché – permettetemi di dirlo nel linguaggio che prediligo, quello della Bibbia – è proprio nei deserti più aridi che Dio apre strade nuove. Cerchiamo insieme queste strade”. La speranza, dice il papa, “ interpella a mettersi in moto per trovare soluzioni che diano forma a una società all’altezza del momento storico che stiamo vivendo, tempo di crisi attraversato da tante ingiustizie. A voi, che siete qui per trovare buone soluzioni, frutto della vostra professionalità e delle vostre competenze, vorrei dire: sentitevi chiamati al grande compito di rigenerare speranza, di avviare processi che diano slancio e vita all’Italia, all’Europa, al mondo”.
“Noi viviamo in un’epoca nella quale parlare di natalità, di maternità, di famiglia è diventato sempre più difficile. Sembra quasi un atto rivoluzionario. Noi siamo stati avvertiti del fatto che ci sarebbe stato un tempo nel quale avremmo dovuto batterci per dimostrare che le foglie sono verdi in estate e che due più due fa quattro”, ha affermato la premier Giorgia Meloni, intervenuta poco prima del Pontefice all’incontro dedicato alla natalità, giunto alla sua terza edizione, che ha già visto la partecipazione ieri, via messaggio, del presidente della Repubblica Mattarella, che ha richiamato la Costituzione come base dalla quale attingere la necessità di sostenere le famiglie.
Quello della natalità è un tema sfidante e al centro del dibattito quotidiano da quando questo Governo è entrato in carica. “Fin dal nostro primo giorno – ha ribadito la premier - il governo ha messo i figli e i genitori in cima all’agenda politica. Abbiamo fatto della natalità e della famiglia una priorità assoluta della nostra azione. Vogliamo che l’Italia torni ad avere un futuro, a sperare e a credere in un futuro migliore rispetto a questo presente incerto”. Bisogna “promuovere una nuova vitalità della nostra società. Non vogliamo uno Stato etico, vogliamo Stato che accompagni e non diriga. Vogliamo credere nelle persone, scommettere sugli italiani e sui giovani, sulla loro fame di futuro”. Quella della natalità “è la nostra prima e più grande sfida” e per affrontarla non serve “un’impostazione dirigista” ma un “approccio sussidiario” da parte dello Stato, il cui compito è “creare le condizioni favorevoli” per favorire la natalità.
“Noi – assicura Meloni - vogliamo una nazione nella quale non sia più scandaloso dire che qualsiasi siano le legittime, libere scelte e inclinazioni di ciascuno, siamo tutti nati da un uomo e da una donna. Vogliamo una nazione nella quale non sia un tabu dire che la maternità non è in vendita, che gli uteri non si affittano, che i figli non sono prodotti da banco che puoi scegliere sullo scaffale come al supermercato e magari restituire se poi il prodotto non corrisponde a quello che ti aspettavi. Vogliamo ripartire dal rispetto della dignità, dell’unicità e dalla sacralità di ogni essere umano. Vogliamo affrontare questa sfida con gli occhi della realtà, non vogliamo infilare la camicia di forza dell’ideologia. Vincere l’inverno demografico, ci ha detto Papa Francesco, significa combattere qualcosa che va contro le nostre famiglie, la nostra patria, il nostro futuro. Santità, noi amiamo le nostre famiglie, amiamo la nostra patria, crediamo nel nostro futuro e faremo fino in fondo la nostra parte”, ha concluso.