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Personale sanitario. “Europa sempre più dipendente da medici e infermieri formati all’estero”. E il futuro non è roseo: entro il 2030 mancheranno 950 mila operatori

19 settembre – Secondo un nuovo rapporto OMS/Europa, tra il 2014 e il 2023 i medici formati all’estero nella Regione sono cresciuti del 58% e gli infermieri del 67%. In Irlanda, per esempio, oltre la metà degli infermieri ha studiato fuori dal Paese. All’orizzonte una carenza di 950mila operatori entro il 2030. L’Italia resta al tempo stesso Paese di origine e di destinazione: la sfida è trasformare questa mobilità da criticità a opportunità. IL RAPPORTO

Tra il 2014 e il 2023, il numero di medici formati all’estero impiegati nei sistemi sanitari europei è cresciuto del 58%, mentre quello degli infermieri è aumentato del 67%. Nello stesso arco di tempo gli arrivi annuali di medici sono quasi triplicati e quelli degli infermieri sono quintuplicati. Con un dato sorprendente: nel 2023, il 60% dei medici e il 72% degli infermieri entrati nel mercato del lavoro europeo provenivano da percorsi formativi extraeuropei.

Questa la fotografia sulla migrazione del personale sanitario in Europa scattata dal nuovo rapporto dell’OMS/Europa e che immortala una realtà in forte trasformazione.

“Non si tratta solo di numeri. Dietro ogni medico o infermiere migrante c’è una storia di ambizione e opportunità, ma anche, spesso, di difficoltà per le famiglie e per i sistemi sanitari nazionali che si sono lasciati alle spalle” ha osservato Natasha Azzopardi-Muscat, direttrice della Divisione Politiche e Sistemi Sanitari Nazionali dell’OMS/Europa. “La migrazione degli operatori sanitari è una realtà nel mercato del lavoro interconnesso europeo e deve essere gestita in modo più equo e sostenibile”.

Le nuove sfide
Questa crescita rapida della mobilità professionale sta creando tensioni in molte aree. Nei Paesi dell’Europa orientale e meridionale, la fuga di professionisti verso mercati più attrattivi rischia di compromettere la sostenibilità della forza lavoro sanitaria. Al contrario, i sistemi sanitari di Irlanda, Germania, Regno Unito e Paesi scandinavi si stanno strutturalmente appoggiando a personale formato all’estero. In Irlanda, più della metà degli infermieri e il 43% dei medici hanno conseguito la formazione in altri Paesi.

Secondo le proiezioni OMS, entro il 2030 la Regione dovrà affrontare una carenza di circa 950 mila operatori sanitari. Da qui l’appello ai governi perché rafforzino le politiche di fidelizzazione, investano in migliori condizioni di lavoro e adottino strumenti di pianificazione a lungo termine. “Come OMS, sosteniamo da un lato migliori condizioni di lavoro nei paesi di origine e dall’altro una maggiore autosufficienza nei paesi di destinazione”, ha spiegato Tomas Zapata, consulente regionale per il Personale Sanitario e l’Erogazione dei Servizi presso l’OMS/Europa. “Per questo motivo continuiamo a supportare i governi nell’attuazione di strategie di fidelizzazione, una migliore capacità di pianificazione – inclusa la modellazione della forza lavoro – e riforme dell’istruzione, così da creare una forza lavoro in grado di rispondere alle mutevoli esigenze sanitarie”.

Modelli di mobilità sempre più complessi
Il rapporto sfata anche l’idea di un flusso migratorio lineare da sud a nord. La mappa è molto più articolata: vi sono movimenti interni tra sottoregioni, spostamenti tra Paesi confinanti e forti influenze legate a lingua e sistemi formativi. La Germania, ad esempio, è la principale fonte di medici stranieri che lavorano in Austria, Svizzera e Bulgaria, mentre i professionisti moldavi rappresentano la componente più numerosa tra i medici che esercitano in Romania.

I casi di studio nazionali contenuti nel rapporto mostrano esperienze differenti. La Romania, storicamente uno dei principali serbatoi di medici e infermieri per altri Paesi, è riuscita a ridurre l’emigrazione grazie a salari più competitivi e migliori condizioni di lavoro. L’Irlanda, Paese con il più alto tasso di dipendenza da personale formato all’estero, ha invece ampliato i percorsi di formazione medica nazionale per puntare a una maggiore autosufficienza.

Il nodo Italia
In questo quadro, l’Italia occupa una posizione peculiare. Da un lato continua a formare professionisti che scelgono di emigrare verso mercati più attrattivi, soprattutto nel Nord Europa. Dall’altro, negli ultimi anni è diventata un polo di attrazione per personale proveniente dall’Est Europa, in particolare infermieri. Una dinamica che rende il nostro Paese un vero crocevia della mobilità sanitaria internazionale.

La sfida, sottolinea il rapporto, è trasformare questa condizione da fattore di fragilità a leva di rinnovamento. Servono politiche mirate a valorizzare e trattenere il capitale umano interno, riducendo le spinte all’emigrazione, e al tempo stesso strategie efficaci per integrare il personale in arrivo, evitando squilibri e disuguaglianze nei servizi.

“La migrazione degli operatori sanitari è una realtà nel nostro mondo interconnesso e globalizzato, e abbiamo le soluzioni per garantire che funzioni per tutte le parti”, ha ribadito Azzopardi-Muscat. “Se non supportiamo equamente la migrazione degli operatori sanitari, rischiamo di ampliare le disuguaglianze sanitarie e di lasciare sistemi già fragili incapaci di far fronte alle sfide future”.