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Cancro. I risultati dei programmi di screening italiani su mammella, cervice uterina e colon retto sotto l’impatto della pandemia Covid

4 febbraio - La sospensione dell’offerta dei programmi di screening organizzati, imposta dalla gestione dell’emergenza sanitaria di COVID-19, si riflette in una riduzione statisticamente significativa nella copertura. Dopo un continuo trend in salita, la quota di donne che si sottopone allo screening cervicale nell’ambito dei programmi organizzati è passata dal 52% del 2019 al 46% del 2020. Analogamente accade per la copertura dello screening mammografico organizzato, passato dal 57% al 50%, e per quello colorettale, che si è ridotto dal 42% al 36%.

Tra i tumori a più alta sopravvivenza ci sono quelli che possono beneficiare di terapie efficaci e di diagnosi precoci e tempestive, come le neoplasie della mammella (le più frequenti fra le donne), il cancro della cervice uterina e quello del colon-retto (il secondo più frequente fra uomini e donne).
 
Lo screening oncologico è dunque un’arma potente e per questa ragione le Linee Guida europee e italiane raccomandano l’implementazione dei programmi di screening organizzati, basati su un invito attivo da parte della Aziende Sanitarie Locali alla popolazione a maggior rischio, con l’offerta di un percorso di approfondimento assistenziale e terapeutico definito e gratuito.
 
Lo screening mammografico è raccomandato ogni due anni alle donne di 50-69 anni, quello cervicale (Pap test e/o HPV test) è raccomandato ogni tre anni alle donne di 25-64 anni e lo screening colorettale è raccomandato ogni due anni a uomini e donne di 50-69 anni (attraverso la ricerca del Sangue Occulto nelle feci come test di primo livello e colonscopia come test di secondo livello nei casi positivi).
 
La quota di persone che si sottopone ai test per la diagnosi precoce dei tumori partecipando ai programmi organizzati delle ASL è maggiore della quota di chi decide di farlo su iniziativa spontanea (che tuttavia resta una quota non trascurabile).
 
Il sistema di sorveglianza PASSI raccoglie informazioni sul ricorso dei cittadini agli screening mammografico, cervicale e colorettale e consente di:
- distinguere la quota della popolazione target che vi si sottopone nei tempi e modi raccomandati da chi lo fa su iniziativa spontanea
- descrivere il profilo di chi vi si sottopone e di chi vi rinuncia e analizzare i motivi della rinuncia
- valutare l’efficacia delle azioni di promozione degli screening da cui i cittadini vengono raggiunti.
 
Cosa succede durante la pandemia?
La sospensione dell’offerta dei programmi di screening organizzati, imposta dalla gestione dell’emergenza sanitaria di COVID-19, si riflette in una riduzione statisticamente significativa nella copertura da screening organizzato, che, solo in parte, sembra tradursi in un aumento del ricorso ai test di screening su iniziativa spontanea.
 
Dopo un continuo trend in salita, la quota di donne che si sottopone allo screening cervicale nell’ambito dei programmi organizzati è passata dal 52% del 2019 al 46% del 2020. Analogamente accade per la copertura dello screening mammografico organizzato, passato dal 57% al 50%, e per quello colorettale, che si è ridotto dal 42% al 36%.
 
Queste riduzioni si registrano ovunque nel Paese, sono significative nelle regioni del Nord, più massicciamente investite dalla pandemia, ma si osservano anche nel Centro e nel Sud del Paese.
 
Che tale riduzione sia imputabile per lo più alla riduzione dell’offerta dei programmi organizzati di screening da parte dei dipartimenti di prevenzione delle ASL che si sono visti costretti a dedicare le loro risorse alla gestione della pandemia si evince anche dalle risposte date alla domanda sulle motivazioni della mancata partecipazione. Nel 2020 è infatti aumentata la quota di coloro che riferiscono di non aver ricevuto alcun invito o consiglio del medico.
 
I dati preliminari per il 2020 sono in linea con quelli relativi al periodo 2016-2019, in cui:
- gli screening cervicale e mammografico sono più estesi rispetto al colorettale
- la copertura totale (dentro e fuori i programmi organizzati) raggiunge circa 8 persone su 10 per lo screening cervicale, 7 persone su 10 per quello mammografico e solo 5 su 10 per quello colorettale
- la partecipazione agli screening nell’ambito dei programmi organizzati è più frequente rispetto al ricorso ai test di screening su iniziativa spontanea: il 49% delle donne 25-64enni partecipano allo screening cervicale nell’ambito di programmi organizzati (vs il 31% che lo fa su iniziativa spontanea); il 55% delle 50-69enni si sottopone a mammografia nell’ambito dei programmi organizzati (vs 19% su iniziativa spontanea); mentre la copertura dello screening colorettale è data quasi esclusivamente dalla partecipazione ai programmi organizzati (40% vs 7% spontaneo)
- l’iniziativa spontanea è maggiore nelle zone con la più bassa offerta e/o adesione ai programmi organizzati, tuttavia il ricorso all’iniziativa spontanea non sempre garantisce gli stessi standard qualitativi e non compensa la mancanza di offerta di programmi organizzati (o la mancanza di adesione agli stessi)
- vi è un significativo gap geografico con Centro–Nord in cui si raggiungono coperture totali che sfiorano il 90% delle popolazioni target e un Sud in cui si era ancora lontani dal garantire ai cittadini analoghe opportunità di accesso alla diagnosi precoce dei tumori: nelle regioni settentrionali la copertura totale dello screening cervicale è dell’88% (vs 69% al Sud), quella dello screening mammografico del 86% (vs 61% al Sud) e del 69% per lo screening colorettale (vs 27% nel Sud).
- significativo anche il gradiente sociale con minori le fasce di popolazione più svantaggiate (per difficoltà economiche, bassa istruzione e cittadinanza straniera) che non si sottopongono a screening, a fronte di una maggiore esposizione ad alcuni fattori di rischio comportamentali (fumo, eccesso ponderale, sedentarietà, scarso consumo di frutta e verdura) implicati nella genesi dei tumori; tuttavia i dati mostravano anche come lo screening organizzato riduca tali disuguaglianze
- il counselling sanitario è fondamentale per promuovere l’adesione dei cittadini allo screening e la lettera di invito della ASL, da sola, non è sufficiente. È più efficace se accompagnata dal consiglio del medico o di un operatore sanitario: fra le donne che ricevono il consiglio del medico, oltre alla lettera di invito della ASL, l’adesione sale dall’81% al 90% per lo screening cervicale, dal 55% all’85% per lo screening mammografico e dal 56% al 71% per quello colorettale.
 
Conclusioni
I dati della sorveglianza di popolazione PASSI sulla copertura degli screening oncologici riflettono l’impatto della pandemia di COVID-19 sulle attività di prevenzione dei tumori e convergono con quanto l’Osservatorio Nazionale Tumori ha evidenziato nei suoi rapporti sui ritardi accumulati dai programmi di screening in Italia, dovuti alla sospensione delle prestazioni di screening nei mesi di marzo e aprile 2020 e ai ritardi nella loro riattivazione avvenuta a maggio ma con tempistiche, intensità e modalità diverse fra le varie Regioni e all’interno della stessa Regione.
 
Le azioni volte al “recupero” della mancata partecipazione allo screening dovrebbero tenere conto delle criticità già esistenti prima della pandemia rispetto a differenze geografiche e sociali, alle motivazioni e considerare l’efficacia delle azioni di promozione degli screening che raggiungono i cittadini.
 
Sarebbe opportuno quindi potenziare i programmi di screening organizzati tenendo conto delle diverse capacità di resilienza dei sistemi sanitari regionali, investire nella formazione degli operatori sanitari sul counselling sanitario, perché promuovano maggiormente e più efficacemente l’adesione dei cittadini ai programmi di screening e in generale alla prevenzione. Sarebbe inoltre necessario promuovere interventi mirati ai gruppi di popolazione che più di altri restano esclusi dalla prevenzione per abbattere le eventuali barriere (culturali, sociali o economiche) di accesso ai servizi e per promuovere maggiore consapevolezza sull’importanza della prevenzione.
 
Le schede
I numeri del tumore della cervice
Il tumore alla cervice uterina è curabile se riconosciuto precocemente e adeguatamente trattato. Grazie alla vaccinazione e alle campagne di screening, i tassi di incidenza del tumore della cervice uterina e la sua mortalità risultano in calo. Resta, tuttavia, una delle neoplasie più comuni e una delle cause di morte correlata a tumore più frequente tra i tumori che colpiscono le donne. In Italia si stimavano, per il 2020, 2365 nuovi casi di tumori della cervice uterina (pari all’1,3% di tutti i tumori incidenti nelle donne) e rappresenta la quinta neoplasia più frequente fra le donne prima dei 50 anni (4%). La sopravvivenza netta a 5 anni dalla diagnosi è pari al 68% e si stima che nel 2020, in Italia, siano più di 51mila le donne che convivono con il tumore della cervice uterina.
 
La mortalità per questo tipo di tumore è notevolmente calata negli ultimi decenni, grazie alla diffusione del test di Papanicolaou (Pap test) e, più recentemente, anche del test per l’Human Papilloma Virus (HPV test). L’infezione da Papillomavirus Umano (HPV) è l’infezione sessualmente trasmessa più diffusa in entrambi i sessi. L’International Agency for Research on Cancer (IARC) già nel 1995 ha inserito l’HPV tra gli agenti cancerogeni per l’uomo, potendo determinare tumori in più distretti, ma principalmente quelli della cervice uterina. Si stima, infatti, che l’HPV sia responsabile di quasi il 100% dei tumori della cervice uterina, dell’88% dei tumori anali, del 70% dei tumori vaginali, del 50% dei tumori del pene e del 43% dei tumori vulvari. Sebbene la maggior parte delle infezioni da HPV decorra in maniera transitoria e asintomatica (il 60-90% delle infezioni, sia da genotipi oncogeni che non oncogeni, si risolve spontaneamente nell’arco di 1-2 anni dal contagio) la persistenza dell’infezione può determinare l’insorgenza di lesioni benigne e maligne della cute e delle mucose.
 
L’infezione mostra un picco principale nelle giovani donne, intorno ai 25 anni di età, e un secondo picco intorno ai 45 anni (determinato sia da slatentizzazione di infezioni persistenti di lunga durata sia da infezioni di nuova acquisizione). L’infezione da HPV, sessualmente trasmessa, rappresenta la causa necessaria per sviluppare la malattia. Co-fattori immunosoppressivi (concomitante infezione Herpes simplex o HIV virus, fumo e assunzione di estroprogestinici) facilitano la persistenza dell’infezione e l’insorgenza del carcinoma.
 
I numeri del tumore della mammella
Il tumore della mammella rappresenta in Italia, come in molti Paesi occidentali, la forma neoplastica più frequente tra le donne, sia in termini di incidenza che di mortalità, ma la prognosi è buona e il tumore della mammella è anche la patologia neoplastica a più alta prevalenza fra le donne. In Italia per il 2020 sono state stimate circa 55mila nuove diagnosi di carcinomi della mammella femminile, con un rischio di insorgenza della malattia che aumenta con l’aumentare dell’età, in particolare dopo i 50 anni.
 
Nel 2015 ci sono state 12.312 donne decedute per tumore della mammella ma si stima che fra il 2015 e il 2021 ci sia una riduzione della mortalità del -6,8% e la sopravvivenza netta a 5 anni dalla diagnosi si stima oggi essere pari al 88%. Nel 2020 la stima di casi prevalenti in Italia è pari a 834.154 donne ovvero il 43% di tutte le donne con una diagnosi di tumore. Una quota rilevante di donne riceve la diagnosi quando il tumore è in una fase relativamente precoce. Questo succede anche grazie alla disponibilità di programmi di screening mammografico che, nella fascia 50-69 anni, rientrano nei livelli essenziali di assistenza. Il ministero della Salute infatti raccomanda ai servizi sanitari l’esecuzione di screening di popolazione, un programma organizzato che offre sistematicamente ogni due anni la mammografia alle donne tra 50-69 anni. Dove questa offerta è attiva molte donne vi partecipano; tuttavia, una quota consistente di donne si sottopone a mammografia, a scopo preventivo, ma su iniziativa spontanea, ovvero fuori dai programmi organizzati.
 
I numeri del tumore del colon-retto
Il tumore del colon-retto è uno dei tumori a maggiore incidenza nella popolazione italiana, secondo al tumore del polmone fra gli uomini e al tumore della mammella fra le donne; ma la diagnosi precoce dei tumori del colon-retto insieme al progresso dei trattamenti hanno prodotto un significativo miglioramento nelle percentuali di guarigioni e nella sopravvivenza in questa patologia neoplastica.
 
Nel 2020, sono state stimate circa 43.700 nuove diagnosi di tumore del colon-retto (23.400 uomini e 20.300 donne) e nel 2021 si stimano 21.700 decessi (11.500 uomini e 10.200 donne) per questa neoplasia. Il tasso di mortalità si è ridotto del 13,6% solo a partire dal 2015 e la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è aumentata, passando dal 52% negli anni ’90 al 65%-66% del 2014. In Italia, si stima che 513.500 persone convivano con una diagnosi di tumore del colon retto (280.300 uomini e 233.200 donne).
 
La ricerca di Sangue Occulto nelle Feci (SOF) e l’endoscopia digestiva (colonscopia e retto-sigmoidoscopia) sono i principali test di screening per la diagnosi precoce in pazienti asintomatici e lo screening può consentire il riscontro e la rimozione di precursori (adenomi) prima della trasformazione in carcinoma e la diagnosi di carcinomi in stadio iniziale, con la conseguente riduzione della mortalità.
 
Fonte: Epicentro

 

 

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