Covid. La risposta anticorpale dura fino a 16 mesi. La conferma in due studi, uno dalla Cina e uno dall’Italia. Ne parliamo con Gabriella Scarlatti del San Raffaele che ha diretto la ricerca italiana
11 febbraio - Un nuovo studio cinese mostra che gli anticorpi neutralizzanti possono rimanere in circolo fino a 16 mesi dopo l’infezione da SARS-CoV-2. I risultati, pubblicati da Nature Microbiology, confermano i dati di uno studio italiano, condotto all’Ospedale San Raffaele e diretto da Gabriella Scarlatti con la quale abbiamo esaminato i risultati e le prospettive di queste due ricerche.
Per diversi mesi dopo la diagnosi di Covid-19, nel sangue dei malati sono presenti degli anticorpi neutralizzanti contro il virus SARS-CoV-2. In uno studio condotto da un gruppo di ricerca di Shenzhen, in Cina, nella maggior parte dei convalescenti da Covid-19 sintomatico erano rilevabili gli anticorpi neutralizzanti fino a 16 mesi dall’infezione mentre, dopo questo periodo di tempo, l’attività neutralizzante era rilevabile solo nel 50% dei soggetti asintomatici. La ricerca è stata pubblicata di recente dalla rivista Nature Microbiology.
Questi risultati in buona parte confermano e aggiungono nuove informazioni rispetto ai dati di un altro studio pubblicato a maggio dell’anno scorso da Nature Communications e condotto dai ricercatori dell’Ospedale San Raffaele di Milano.
“Come nel nostro lavoro, anche qui gli autori osservano un aumento del livello di anticorpi nei primi mesi dall’infezione e poi la curva inizia a scendere”, spiega in un’intervista a Quotidiano Sanità Gabriella Scarlatti, ricercatrice a capo dell’Unità di Evoluzione e Trasmissione Virale dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. “Sia noi che il gruppo cinese abbiamo scelto di valutare gli anticorpi neutralizzanti, abbiamo quindi usato dei test funzionali per identificare in particolare proprio quegli anticorpi che riescono a bloccare l’ingresso del virus nella cellula”.
Risposta duratura, neutralizzazione più bassa con le varianti
I ricercatori cinesi hanno raccolto 411 campioni di plasma di 214 soggetti dopo infezione da Covid-19 e hanno misurato i livelli di anticorpi nei mesi, nel corso dei quali i pazienti non erano stati reinfettati o vaccinati.
Dopo il picco raggiunto nei primi mesi dall’infezione, i titoli degli anticorpi sono diminuiti, con risposte neutralizzanti significativamente ridotte riscontrate nel quasi 92% dei convalescenti. Nonostante questo calo, la maggior parte dei soggetti ha mantenuto titoli rilevabili di anticorpi a 400–480 giorni dopo l’infezione. A 330-480 giorni l'attività neutralizzante non era più rilevabile nel 14,41% (16 su 111) dei pazienti che si erano ammalati di una forma lieve di Covid-19 e nel 50% (5 su 10) dei pazienti con infezioni asintomatiche. “È interessante notare che gli asintomatici possono perdere più frequentemente gli anticorpi. Sarà importante capire se si possono re-infettare più facilmente”, osserva Scarlatti.
“In generale i risultati di questo articolo sono molto simili ai nostri, con alcune differenze nella risposta immunitaria dovute probabilmente a una popolazione diversa con un’età media più bassa e un maggior numero di donne nella coorte cinese. Va ricordato che i nostri partecipanti erano stati tutti ricoverati, e inoltre tra i loro partecipanti non sono stati inclusi le persone decedute per Covid-19, mentre includevano appunto gli asintomatici”.
Il messaggio chiave resta che la risposta anticorpale raggiunge un picco a uno-due mesi e poi decresce ma è ancora rilevabile per molti mesi nella maggior parte dei casi.
“Il livello di anticorpi variava leggermente in base alla gravità della malattia, e dal nostro studio è emerso che i pazienti che non producevano anticorpi neutralizzanti nelle prime settimane della malattia andavano incontro a decesso, si trattava di pazienti con co-morbidità o anziani, che potevano avere un sistema immunitario più debole”.
I ricercatori cinesi hanno anche osservato che l’attività neutralizzante degli anticorpi presenti nel plasma dei pazienti era significativamente più bassa contro alcune varianti del virus: Beta, Delta e Mu (identificata per la prima volta in Colombia a gennaio del 2021). Non hanno condotto test sulla variante Omicron, che ai tempi del loro studio non era ancora diffusa. “A seconda della variante, la capacità degli anticorpi di neutralizzare i virus cambia. Sappiamo dai test con il siero delle persone infettate durante la prima ondata o vaccinate, che la variante Delta è più difficile da neutralizzare della Alfa. L’Omicron, come la Beta, sono ancora più difficili da neutralizzare”, continua la dottoressa.
Il “network” della risposta immunitaria
Per quanto questi risultati siano importanti per la comprensione della risposta immunitaria al virus, Scarlatti precisa che non sappiamo esattamente quale sia il livello minimo di anticorpi neutralizzanti a partire dal quale un soggetto sano è protetto dalla malattia, e l’emergere di nuove varianti rende la stima ancora più difficile.
Inoltre, gli anticorpi presenti nel sangue non sono l’unico elemento da considerare, quando si valuta la risposta immunitaria ad un patogeno. Alcuni studi hanno misurato anche l’attività delle cellule, in particolare dei linfociti T, in seguito all’infezione virale.
I primi lavori risalgono al 2020 e sono stati prodotti da Alessandro Sette, immunologo all’Istituto La Jolla in California. Gli studi mostrano la presenza e la persistenza nei mesi, di cellule T e B della memoria. Due studi, uno pubblicato da Science, l’altro da Cell Reports Medicine, nel 2021, mostrano una persistenza di cellule T, che prendono di mira diverse componenti del virus SARS-CoV-2, fino a otto mesi dopo l’infezione.
Sono dati significativi, spiega Scarlatti, perché i linfociti T non solo sostengono la risposta delle cellule B, che producono gli anticorpi, ma uccidono anche le cellule infettate dal virus. “Si tratta di un network complesso, in cui ogni elemento è importante e collabora con gli altri”.
Queste sono considerazioni sulla risposta immunitaria in seguito ad un’infezione virale. Sono in corso, anche al San Raffaele, studi sulla risposta anticorpale a lungo termine dopo la vaccinazione. Un loro lavoro, pubblicato Journal of Clinical Immunology, mostra intanto come la risposta alle prime due dosi di vaccino BNT161b2 nelle persone che hanno precedentemente avuto il Covid-19 dipenda dalla presenza di anticorpi in circolo al momento della vaccinazione. Infatti, la risposta post-vaccinazione dei convalescenti che non avevano anticorpi in circolo era simile a quella dei soggetti che non si erano mai infettati.
“Dopo l’infezione gli anticorpi restano in circolo per molti mesi”, conclude Scarlatti. “Vedremo quale sarà la protezione in coloro che si sono vaccinati e hanno avuto il Covid-19 con le nuove varianti”.
Camilla de Fazio