Natalità. “Si va verso un ‘inferno’ demografico, intervenire con urgenza”. L’audizione alla Camera della ministra Eugenia Roccella
17 febbraio - “Le donne italiane non sono effettivamente libere di avere figli se lo desiderano. Anzi, nonostante lo desiderino. Un figlio non è un fatto privato, ha riflessi sulla vita della comunità, garantisce il futuro, la coesione intergenerazionale, la tenuta del welfare. Potremmo definirlo un lavoro ‘socialmente utile’, che alimenta, peraltro, competenze che vanno valorizzate. Occorre promuovere quei cambiamenti culturali che rendano la maternità un’attribuzione premiante”. Così la ministra per la Famiglia in audizione sulle linee programmatiche del suo dicastero.
“In questa legislatura, al binomio tra famiglia e pari opportunità si è aggiunta la natalità. Non credo ci sia bisogno di motivare l’urgenza di tale scelta, così come l’impellenza di politiche che favoriscano una ripresa delle nascite”.
Così la ministra per la Famiglia Eugenia Roccella in audizione in Commissione alla Camera sulle linee programmatiche del suo dicastero.
“Conosciamo tutti i numeri da bollettino di guerra - ha ricordato Roccella - che certificano quello che io, più che inverno, definisco ormai inferno demografico. È un affresco a tinte fosche quello che con regolare cadenza ci consegnano i dati dell’Istat, così come preoccupante è la prognosi unanime degli studiosi in base alla quale il tempo residuo per provare a invertire la tendenza prima che essa diventi irreversibile non supera i 10/15 anni”.
Al calo della popolazione, ha ribadito la ministra, “corrispondono conseguenze ad ampio spettro, di natura materiale ma anche immateriale. Si va dalla non sostenibilità del welfare e della sanità pubblica, fino allo spopolamento delle aree più fragili, con il rischio di desertificazione di migliaia di piccoli comuni e di quelle aree interne che custodiscono parte importante del patrimonio culturale, naturalistico, identitario dell’Italia; dalla prospettiva di una decrescita del Pil allo spegnersi della vitalità del Paese, perché meno nascite significa meno giovani e quindi minore propensione alla creatività, all’innovazione, allo sviluppo, all’intrapresa”.
“Bisogna prendere atto che esiste un problema di libertà femminile: le donne italiane non sono effettivamente libere di avere figli se lo desiderano. Anzi, nonostante lo desiderino. Nel momento in cui si è smagliata e dispersa quella rete parentale che un tempo sosteneva le madri - ha sottolineato - le donne sono alle prese con le difficoltà che tutti conosciamo, dai tempi della vita urbana alla conciliazione famiglia-lavoro, e la maternità diventa un ostacolo alla realizzazione personale, sul piano professionale e non solo”.
Per mettere in campo interventi efficaci bisogna restituire valore sociale alla maternità. È incredibile che il valore della maternità, espressamente tutelato dalla Carta costituzionale, a livello di legislazione ordinaria trovi menzione solo nel titolo e nella prima parte della legge 194. Se a differenza del passato, quando va bene di figlio se ne fa uno e tendenzialmente lo si fa tardi, la motivazione risiede negli ostacoli che oggi si frappongono fra il desiderio di maternità e la sua realizzazione”.
“Un figlio - ha aggiunto Roccella - non è un fatto privato. Un figlio ha riflessi sulla vita della comunità, garantisce il futuro, la coesione intergenerazionale, la tenuta del welfare. Dunque, chi lo genera e se ne prende cura lavora per tutti. È a questo che ci si riferisce quando si parla di valore sociale della maternità. Potremmo definirlo un lavoro ‘socialmente utile’, che alimenta, peraltro, competenze che vanno valorizzate”.
“Occorre promuovere quei cambiamenti culturali che rendano la maternità un’attribuzione premiante, non un ostacolo alla realizzazione personale. E oltreché ispirazione politico-legislativa, questa consapevolezza deve diventare senso comune. Serve dunque un approccio trasversale, una mobilitazione collettiva. Non voglio convincere le italiane a fare più figli- ha chiarito la ministra- vorrei fossero libere di farli. Libere davvero, cioè non spinte a scegliere tra la carriera e i figli, non costrette a essere multitasking per forza, a fare sacrifici e rinunce troppo pesanti”.
“L’assegno unico è stato un primo passo importante, perché ha stabilizzato i fondi per la famiglia sul lungo periodo, cominciando a rendere certa la base su cui le coppie possono attuare un progetto genitoriale. Nell’arco della legislatura vogliamo implementarlo, modificando i criteri dell’Isee e/o aggiungendo risorse, a partire intanto da quelle derivate dai risparmi derivati dai fondi destinati allo stesso assegno unico e non utilizzati, che devono essere reinvestiti allo stesso scopo. Vogliamo andare verso un allargamento e una universalizzazione dell’assegno unico”.