Tumori ovarici caratterizzati da alti livelli di due proteine più sensibili a una nuova classe di farmaci
18 febbraio - I risultati di uno studio preclinico dell’Istituto Mario Negri, pubblicati sulla rivista “Cancer Research” hanno permesso di individuare un punto di debolezza di alcuni tumori ovarici (alti livelli delle proteine PGC-1α e PGC-1β) e nuove terapie in grado di contrastarne la crescita.
Alcuni tumori ovarici presentano alti livelli di due proteine che regolano l’attività dei mitocondri, la centrale energetica delle cellule. Una peculiarità li rende sensibili a una nuova classe di farmaci, aprendo così nuovi scenari terapeutici.
È quanto emerge da uno studio, condotto presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs, sostenuto dalla Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro e pubblicato su Cancer Research. Un risultato importante per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per un tipo di tumore che è tra i più difficili da curare. Infatti il tasso di sopravvivenza per le donne con carcinoma ovarico è tuttora molto basso ed è aggravato da uno sviluppo silente che porta a una diagnosi spesso tardiva, quando la malattia è in stadio avanzato e ha già dato origine a metastasi.
“Negli ultimi anni – spiegano Carmen Ghilardi, prima autrice dell’articolo e MariaRosa Bani, capo del laboratorio di Terapia delle Metastasi Tumorali – si è capito che i mitocondri possono essere un potenziale bersaglio terapeutico, tanto che numerosi inibitori sono in fase di sviluppo. I mitocondri sono gli organelli addetti alla respirazione cellulare e, in particolare al processo chiamato OXPHOS, fondamentale per la produzione di energia.
Lo studio, condotto in cellule in coltura e animali di laboratorio con tumore ovarico, ha messo in luce che l’inibizione di OXPHOS non è egualmente efficace su tutti i tumori. Infatti i tumori la cui progressione è ritardata dal trattamento sono soprattutto quelli caratterizzati da alti livelli delle proteine PGC-1α e PGC-1β, che hanno proprio la funzione di regolare l’attività dei mitocondri”.
“Soffermandoci sui numeri – conclude Raffaella Giavazzi, coordinatrice dello studio – la ricerca ha evidenziato che nel campione analizzato, sono circa il 25% le pazienti affette da un carcinoma ovarico con alti livelli delle proteine PGC-1α e PGC-1β. Ora si tratta di confermare che i risultati ottenuti nei nostri modelli preclinici siano trasferibili alle pazienti, infatti per alcune di queste pazienti si aprirebbe la possibilità di beneficiare del trattamento con inibitori di OXPHOS e di poter contare su un’arma in più per contrastare la crescita tumorale”.