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Covid. La ‘tempesta perfetta’ per la demografia. Blangiardo (Istat): “Nel 2020 il saldo tra nati e deceduti mai così male dal 1918”

6 febbraio 2021 - A scattare la fotografia è il presidente dell’Istituto Gian Carlo Blangiardo che evidenzia come si sono verificate due condizioni drammatiche. Da un lato “il margine superiore dei 700 mila morti – oltre il quale nell’arco degli ultimi cent’anni ci si è spinti giusto all’inizio (1920) e quindi nel pieno dell’ultimo conflitto mondiale (1942-1944) – e il limite inferiore dei 400 mila nati, una soglia mai raggiunta negli oltre 150 anni di Unità Nazionale”. IL DOCUMENTO

Nella demografia di questa Italia del 2020, due sembrano essere i confini simbolici destinati a infrangersi sotto i colpi del COVID-19 e dei suoi effetti, diretti e indiretti: il margine superiore dei 700 mila morti – oltre il quale nell’arco degli ultimi cent’anni ci si è spinti giusto all’inizio (1920) e quindi nel pieno dell’ultimo conflitto mondiale (1942-1944) – e il limite inferiore dei 400 mila nati, una soglia mai raggiunta negli oltre 150 anni di Unità Nazionale. Si tratta di due sconfinamenti che, di riflesso, spingerebbero il valore negativo del saldo naturale oltre le 300 mila unità; un risultato che, nella storia del nostro Paese, si era visto unicamente nel 1918, allorché l’epidemia di “spagnola” contribuì a determinare circa metà degli 1,3 milioni dei decessi registrati in quel catastrofico anno”. Ad affermarlo è il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo.  
 
L’impennata dei decessi
Il passaggio oltre i 700 mila morti annui appare pressoché certo ed è la risultante di un conteggio che aggiunge ai 665 mila decessi stimati, via ANPR, a tutto novembre 2020 altri 62 mila casi attribuibili al mese di dicembre. Una stima, quest’ultima, che si ottiene partendo dalla media dei morti di dicembre nel quinquennio 2015-2019 (54.448 unità) e procedendo ad accrescerla sulla base della variazione accertata, tra il 2020 e la media 2015-2019, per l’insieme dei primi undici mesi dell’anno. Ciò porta a prospettare un totale di 726 mila decessi su base annua, che corrispondono a una media giornaliera di 1990 casi nel 2020. Con un aumento di 223 unità, rispetto al quinquennio precedente, che si allinea al dato ufficiale delle circa 200 persone mediamente decedute ogni giorno in corso d’anno per COVID-19 (valore che sale a 250 casi se si restringe l’intervallo al periodo 20 febbraio-31 dicembre 2020). Va altresì rilevato come sul piano territoriale, in conseguenza degli effetti di COVID-19, la quota dei decessi si sia modificata radicalmente.
 
Se prima del 2020 le tre grandi ripartizioni, Nord, Centro e Mezzogiorno, accentravano rispettivamente il 47%, 20% e 33% del totale dei morti in Italia, nel 2020 il Nord si è accresciuto di quasi 4 punti percentuali, raggiungendo la metà del totale nazionale (50,5%), mentre il Centro ha perso 1,3 punti e il Mezzogiorno ne ha persi 2,4.
 
I nuovi confini della natalità
Così come sembra oggettivamente ben argomentabile la prospettiva di spingersi oltre i 700 mila morti nel bilancio demografico del 2020, lo stesso vale per quanto riguarda l’ipotetico raggiungimento della soglia minima dei 400 mila nati. Di fatto, già le risultanze del periodo gennaio-agosto 2020, ossia gli esiti dei concepimenti orientativamente avvenuti – senza alcuna influenza di COVID-19 – nel periodo che va da aprile a novembre del 2019, testimoniano un calo di nati del 2,3%. Tale andamento, se mantenuto per il successivo bimestre settembre-ottobre, ancora legato a concepimenti del tutto COVID-free, porterebbe il totale dei nati nei primi dieci mesi del 2020 a 343 mila unità.
 
L’incognita per la redazione del bilancio annuo è dunque rappresentata dai nati di novembre e dicembre, due mesi che nel precedente quinquennio hanno registrato mediamente 36.665 e 38.594 nati, rispettivamente, ma con una tendenza regressiva che li ha portati a 34.084 e a 34.769 casi nel 2019. Se solo sommassimo questi due ultimi valori alle 343 mila unità di cui si è detto si arriverebbe a 412 mila nati, ma ciò non terrebbe conto realisticamente dei primi effetti di COVID-19 sul livello di fecondità della popolazione.
 
Non va infatti dimenticato che dicembre 2020 si colloca a distanza di nove mesi dalla drammatica comparsa della pandemia, ed è verosimile immaginare che, così come accadde per la caduta delle nascite al tempo della grande paura per la nube tossica di Chernobyl (il significativo calo di nati a febbraio 1987 in relazione ai concepimenti di maggio 1986), anche in questa circostanza ci siano stati frequenti rinvii nelle scelte riproduttive.
 
In ultima analisi, nel 2020 è legittimo aspettarsi un sensibile calo di nascite nel mese di dicembre, con qualche primo debole segnale già a novembre, per via dei concepimenti nella seconda metà di febbraio e/o degli eventuali parti pretermine. D’altra parte, un valido indizio in tal senso viene fornito da un resoconto provvisorio su un insieme di quindici grandi città per le quali si ha la disponibilità di un dato anagrafico completo e attendibile per l’intero anno 2020.
 
Nell’ambito di tale insieme, che aggrega circa 6 milioni di residenti e ha dato luogo nel 2019 al 10,6% dei nati in Italia, la frequenza di eventi nel corso del 2020 è diminuita mediamente del 5,21%. Un valore che è tuttavia la risultante di dinamiche ben distinte in corso d’anno: si ha infatti un calo medio del 3,25% nel complesso dei primi dieci mesi, che poi sale all’8,21% in corrispondenza del mese di novembre e raggiunge il 21,63% in quello di dicembre.
 
In conclusione, se dunque dovessimo riprodurre tale comportamento su base nazionale arriveremmo a conteggiare da un minimo di 398 mila nati – applicando il -5,21% al dato annuo del 2019 – a un massimo di 402 unità mila, limitandoci a estrapolare unicamente l’effetto osservato nel bimestre novembre-dicembre. Saremmo per l’appunto – seppur poco al di sotto o poco al di sopra – a un passo dalla inviolata soglia dei 400 mila nati annui.

 

 

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