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Tumore al seno. Terapia sottocutanea promossa dal 92% delle donne. L’indagine di Onda

6 luglio 2018 - Secondo l’indagine le donne con tumore al seno HER2+ in terapia sottocutanea sono costrette a meno rinunce dal punto di vista sociale, familiare e lavorativo trascorrendo in day-hospital la metà del tempo rispetto alle donne in terapia endovenosa. Risparmio per il Ssn di 9 mln con l’utilizzo di trastuzumab sottocutaneo, che potrebbe arrivare a 14,7 mln aumentando la quota di somministrazione alla massima eleggibilità, secondo il progetto SCuBA. 

“Le recenti innovazioni che prevedono l’utilizzo di nuove formulazioni sottocutanee nella cura del tumore al seno consentono un notevole miglioramento dell’esperienza di cura per le donne che possono dimezzare il tempo trascorso in ospedale per sottoporsi alle terapie. Questo consente di ridurre l’impatto della cura sulle abitudini di vita e di non sottrarre tempo alle relazioni sociali, familiari e lavorative”. Così Francesca Merzagora, Presidente Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere. 
 
Sono le stesse pazienti a sostenerlo attraverso le testimonianze raccolte nella recente indagine di Onda volta a fotografare il percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale con particolare focus sull’impatto che la malattia e la terapia endovena o sottocute hanno sulla qualità di vita delle donne con tumore al seno HER2+. L’indagine, condotta da Elma Research con il contributo incondizionato di Roche, è stata svolta su un campione di 101 donne a cui è stato asportato il tumore in uno degli 11 Centri di Senologia selezionati in tutta Italia. A seguito dell’intervento il 91% ha dichiarato di essersi sottoposta ad almeno una terapia endovenosa e il 73% ad almeno una terapia sottocutanea nella propria storia di malattia.
 
Dall’indagine emerge che solo 1 donna su 10 che si reca in ospedale per la somministrazione della terapia endovenosa lo fa in autonomia, mentre chi si sottopone a terapia sottocutanea, nel 39% dei casi è indipendente; questo si traduce in un impatto più limitato della malattia della donna sui caregiver. Anche il tempo trascorso in day-hospital con le due modalità di somministrazione è molto diverso: per chi è in terapia endovenosa è in media di 5 ore, addirittura il 38% delle donne vi permane anche 6-10 ore; per chi si sottopone alla terapia sottocutanea è invece in media di 2-3 ore, il 50% persino entro le 2 ore. La differenza principale è data dal tempo di somministrazione della terapia che per l’endovenosa è in media di 145 minuti mentre per la sottocutanea bastano 12 minuti; per tutte le pazienti è invece molto elevato il tempo trascorso in sala d’attesa, ben più di 2 ore.
 
La percezione della terapia sottocutanea per chi l’ha fatta è ottima: viene considerata meno invasiva, più favorevole per una buona qualità di vita, utile per risparmiare tempo, comoda per l’ospedale e il personale sanitario e il 92% delle intervistate ritiene di sentirsi “meno malata”.

Dal punto di visto sociale, familiare e lavorativo, infatti, le donne sottoposte a terapia sottocutanea ritengono che il tempo ad essa dedicato abbia imposto meno rinunce rispetto a chi ha fatto la terapia endovenosa: solo il 23% dice di aver trascurato aspetti della vita familiare e il 20% lati della vita relazionale e sociale, rispetto al 42% e al 33% delle pazienti che hanno fatto cure per via endovenosa; con la terapia sottocutanea solo il 12% ha dovuto compromettere lavoro o studio, contro il 28% dell’endovenosa, e il 57% di loro ritiene di non aver dovuto fare alcun tipo di rinuncia. 1 donna intervistata su 5 ha dichiarato di aver dovuto rinunciare al lavoro a causa della malattia e ben il 38% di queste ha preso questa decisione proprio a causa del tempo richiesto dalla terapia endovenosa.
 
“Soprattutto per le donne, che si devono giostrare contemporaneamente tra i diversi ruoli di madre, casalinga e lavoratrice - continua Merzagora - è importante avere a disposizione un’innovazione terapeutica che possa permettere loro di fare meno rinunce e al tempo stesso essere efficace”.
 
“Oltre alla percezione positiva da parte delle pazienti - dichiara Daniele Generali, Direttore UO Multidisciplinare di Patologia Mammaria e Ricerca Traslazionale, ASST Cremona - le nuove formulazioni portano benefici sia sul piano economico-organizzativo sia su quello relativo alla sicurezza clinica del trattamento nel percorso diagnostico-terapeutico”.
 
Queste conferme arrivano dal progetto SCuBA (SubCutaneous Benefit Analysis), realizzato da Bip, Business Integration Partners con il sostegno di Roche, che mira ad analizzare tutti i benefici e i costi differenziali relativi alle diverse formulazioni, sottocutanea e endovena, dei farmaci trastuzumab e rituximab rispettivamente indicati per il carcinoma mammario HER2+ adiuvante e metastatico e il linfoma diffuso a grandi cellule B e il linfoma follicolare.
 
“Dallo studio, che ha coinvolto 49 Enti per un totale di 69 Day-Hospital in tutta Italia - continua Generali - è emerso che con l’attuale quota di utilizzo di trastuzumab sottocutaneo al 51%, il risparmio ottenuto in Italia rispetto all’era della sola terapia endovena è di 9 milioni di euro, che potrebbero arrivare a 14,7 milioni con l’aumento della quota di somministrazione di trastuzumab sottocute al tasso massimo di pazienti trattabili dell’84% del totale. Inoltre, l’uso delle nuove formulazioni genera una diminuzione complessiva dell’indice di rischio clinico del 70%. In particolare il loro utilizzo porta all’eliminazione di attività rischiose come il calcolo del dosaggio e la preparazione e la gestione delle sacche e vengono inoltre a mancare i possibili effetti avversi da infusione come le occlusioni dell’accesso venoso e le infezioni del sito di accesso”.
 
“Andare oltre la malattia significa dotarsi di un orizzonte nuovo, affinché le esigenze della persona entrino organicamente nella gestione della malattia -conclude Davide Petruzzelli, Presidente Associazione La Lampada di Aladino -. È necessario sforzarsi per superare difficoltà organizzative e resistenze per mandare a regime pieno e nel modo migliore l'utilizzo delle terapie sottocutanee, non solo per i benefici economici e per gli aspetti della sicurezza, ma soprattutto per la qualità di vita dei malati, un tema che conta molti predicatori ma assai meno praticanti”.

 

 

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