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Interruzione volontaria di gravidanza e aborto spontaneo: le differenze negli aspetti psicologici

aborto farmacologico

L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) e l’aborto spontaneo sono eventi che causano notevole stress e disagio emozionale nelle donne. Tuttavia vi sono importanti differenze nel vissuto personale, che molto dipendono anche da fattori predisponenti individuali e di contesto sociale e familiare.

Interruzione volontaria di gravidanza (IVG) e aborto spontaneo: la responsabilità della scelta fa la differenza nello stato d’animo

L’IVG e l’aborto spontaneo sono esperienze profondamente diverse. L’aborto spontaneo è una condizione subita, vissuta come una maternità negata, un vero e proprio lutto, caratterizzato da depressione, sentimenti di rabbia e bassa autostima. I’IVG è, o dovrebbe essere, il risultato di una scelta libera e consapevole, a seguito dell’instaurarsi di una gravidanza indesiderata. Nonostante ciò, ugualmente le donne portano spesso con sé cicatrici profonde per molto tempo e questo si comprende facilmente leggendo le esperienze riportate in diversi forum dedicati. Dalle descrizioni degli stati d’animo, abbiamo modo di comprendere come si sentono le donne nel percorso che le ha portate a maturare questa scelta e dopo avere varcato la soglia dell’ambulatorio per tornare a casa. Non sempre va tutto bene, anche quando l’esperienza non è stata fisicamente dolorosa e l’assistenza medica soddisfacente. Spesso, anche a distanza di anni, molte donne sono pentite, hanno sensi di colpa, non riescono più a vivere serenamente la sessualità, hanno bisogno di un supporto psicologico e a volte di ricorrere a psicofarmaci. Nella decisione di interrompere la gravidanza, viene riportata di frequente l’instabilità della relazione, o una relazione iniziata da poco tempo e il timore che questa decisione possa influire negativamente sulla stessa. Molte donne riferiscono un senso di solitudine e di abbandono, altre hanno sofferto per la stigmatizzazione, sia sociale, sia da parte del personale sanitario. Si percepisce chiaramente che non è stato fatto abbastanza prima della procedura (farmacologica o chirurgica), in termini di ascolto e di counselling, ma anche che il nostro compito non può esaurirsi dopo la conferma dell’avvenuta espulsione del feto.

Esiste la sindrome post-aborto?

Spesso si parla di aborto come di un’esperienza traumatica ed esiste una documentazione bibliografica, oltre a varie esperienze raccontate sul web, a sostegno dell’esistenza di una vera e propria sindrome post-aborto, una condizione di forte disagio emotivo assimilata al disturbo post- traumatico da stress (PTSD), caratterizzata da sensi di colpa, perdita di autostima, ansia, senso di vuoto, tristezza, angoscia e risentimento verso chi ha influenzato la scelta abortiva. Di fatto però, tale sindrome "non è riconosciuta da alcuna società scientifica, non è descritta in alcuna nosografia, né nel DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), né nel capitolo relativo alla classificazione dei disturbi mentali dell'ICD-11, a cura dell'OMS.

Per fare un po’ chiarezza sull’argomento, l’Associazione degli Psicologi Americani (APA) ha istituito una Task Force per lo studio della salute mentale post-aborto (APA Task Force on Mental Health & Abortion-TFMHA). Dal report si evince che, pur non potendo inquadrare nosograficamente la “sindrome post-aborto”, non significa che le donne che abortiscono non possano sperimentare sentimenti di tristezza, dolore, sensazioni di perdita, colpa, rimpianto, depressione o ansia. La vulnerabilità allo sviluppo di stati di disagio emotivo particolarmente intensi, dipende molto da fattori individuali predisponenti, soprattutto tratti di personalità correlati al nevroticismo, storia pregressa di disturbi mentali, come ansia o depressione, o la mancanza di supporto sociale e/o familiare.

 

Fonti

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