Istat: “Al Nord si vive un anno e sette mesi di più che al Sud”. Ma in molti casi la colpa è della differente tempistica di diffusione del Covid
7 ottobre - Lo rileva l’aggiornamento degli indicatori del Bes. I diversi andamenti in termini di speranza di vita registrati sul territorio nel 2020 e nel 2021 sono certamente collegati all’impatto diversificato della pandemia da Covid che si è diffusa con tempistiche differenti nelle varie zone del Paese, facendo registrare livelli più alti di mortalità al Nord specialmente durante la prima ondata di aprile 2020. Divario esiste anche per la migrazione ospedaliera.
“La penalizzazione del Mezzogiorno e il dualismo nord-sud erano e restano chiavi di lettura appropriate per molte e importanti componenti del Bes”.
È quanto sottolinea Istat pubblicando l’aggiornamento annuale del sistema di indicatori del “Benessere equo e sostenibile” dei territori, riferiti alle province e alle città metropolitane italiane, coerenti e integrati con il framework Bes adottato a livello nazionale pubblicato da Istat.
Nonostante le diverse dinamiche osservate nella congiuntura negativa da Covid-19, nei domini Salute, Istruzione, Lavoro e Benessere economico le distanze restano infatti marcate e si accentuano in particolare per la speranza di vita e per la migrazione ospedaliera oltre che per il reddito dei lavoratori dipendenti, indicatori che tra il pre e il post pandemia segnano un chiaro arretramento dei livelli di benessere per la generalità delle province del Mezzogiorno con il conseguente ampliarsi del divario con il Centro-nord.
Nel 2021 la stima della speranza di vita alla nascita in Italia è di 82,4 anni (80,1 per gli uomini e 84,7 anni per le donne).
Dopo la netta flessione registrata nel 2020 (-1,1 anni di vita vissuti, da 83,2 del 2019 a 82,1 del 2020), quando la diffusione della pandemia da Covid-19 aveva interrotto bruscamente la crescita osservata fino al 2019, il dato riferito al 2021 evidenzia un recupero pari, in media, a circa 4 mesi in più per gli uomini e circa 3 per le donne.
Ma il dato medio nazionale nasconde profonde differenze territoriali: si amplia la distanza tra Nord e Mezzogiorno, arrivando nel 2021 a 1 anno e 7 mesi di vita media in più nel Nord.
La speranza di vita alla nascita totale scende, infatti, nel Mezzogiorno a 81,3 anni nel 2021, con una riduzione di 6 mesi rispetto al 2020 che si aggiungono ai 7 mesi già persi nel 2020 rispetto al 2019, mentre si attesta a 82,9 al Nord, con un recupero di quasi un anno rispetto al 2020.
I diversi andamenti in termini di speranza di vita registrati sul territorio nel 2020 e nel 2021 sono certamente collegati all’impatto diversificato della pandemia da Covid-19 che si è diffusa con tempistiche differenti nelle varie zone del Paese, facendo registrare livelli più alti di mortalità al Nord specialmente durante la prima ondata di aprile 2020.
Nel Mezzogiorno, dove la pandemia si è manifestata soprattutto nel corso dell’autunno 2020, gli effetti sulla mortalità sono molto evidenti anche nella prima parte del 2021.
Molte aree del Nord-ovest, particolarmente colpite dalla prima ondata pandemica e che avevano perso nel 2020 molte posizioni in termini di ranking, recuperano notevolmente nel 2021.
La provincia di Bergamo, ad esempio, recupera nel 2021 quasi completamente i circa 4 anni di speranza di vita alla nascita persi nel 2020, posizionandosi nel 2021 al 13esimo posto della graduatoria, mentre nel 2020 si trovava solo al 106esimo posto (Figure 1 e 2).
Allo stesso modo, la provincia di Cremona recupera nel 2021 circa 3 anni dei quasi 4 persi nel 2020, Piacenza e Lodi circa 2 anni e mezzo; queste ultime province si posizionano nel 2021 rispettivamente al 38esimo e al 47esimo posto, dal 102esimo e 104esimo del 2020.
Al contrario, molte province del Mezzogiorno, che nel 2020 avevano in alcuni casi guadagnato mesi di vita, nel 2021 arretrano di molte posizioni essendosi trovate maggiormente esposte alle conseguenze della pandemia.
È il caso della provincia di Trapani che nel 2020 aveva guadagnato un mese di vita e che, invece, nel 2021 perde mezzo anno, stesso andamento per la provincia di Caltanissetta che aveva guadagnato 2 mesi nel 2020, scalando in un solo anno 16 posizioni nella graduatoria delle province, ma che arretra delle stesse posizioni nel 2021, con una perdita di 1,1 anni di speranza di vita totale.
In altri casi, invece, il peggioramento emerso nel 2020 prosegue e si amplifica nel 2021, come nella provincia di Campobasso che ha perso circa 1 anno nel 2020 e un ulteriore anno e 4 mesi nel 2021, e la provincia di Enna (un anno perduto nel 2021 in aggiunta agli 11 mesi del 2020).
La provincia di Viterbo è l’unica a mantenere una situazione sostanzialmente invariata in tutto il periodo 2019-2021 (speranza di vita alla nascita pari a 82,1 anni) mentre le province di Roma e Padova, dopo aver perso circa mezzo anno di vita nel 2020 rispetto al 2019 mantengono la speranza di vita alla nascita stabile nel 2021 rispetto al 2020 (rispettivamente 83,6 e 82,9 anni).
Un altro elemento di divaricazione tra Nord e Sud è quello del trend di migrazione sanitaria.
In Italia nel 2020 l’emigrazione ospedaliera in altra regione, ovvero la percentuale di persone che hanno avuto un ricovero ospedaliero in regime ordinario per "acuti" fuori dalla propria regione di residenza, è pari al 7,3% sul totale dei ricoveri.
Per una parte di questi pazienti il ricovero in un'altra regione è una scelta, ma spesso è dovuto alla carenza di strutture e figure professionali adeguate. Rispetto al 2019 l’indicatore diminuisce del 12%, ma tale calo è almeno in parte legato alla situazione pandemica, che ha causato l’impossibilità di spostarsi fuori della propria zona di residenza.
La provincia in cui nel 2020 sono maggiormente diminuiti i ricoveri fuori regione è Rieti, dal 32,5% al 19,9%, seguita da Sondrio, Pescara, Trapani e Palermo che hanno avuto una diminuzione di oltre il 25%.
Nonostante la riduzione complessiva dei ricoveri (-17% in media Italia; -21% al Mezzogiorno), le differenze territoriali restano grandi: si è spostato fuori dalla propria regione per motivi di cura l’11,4% dei ricoverati residenti nel Sud e il 5,6% dei residenti del Nord.
Tra le province con i livelli più bassi nel 2020 emergono Sondrio, Lecco, Bergamo e Ravenna (meno del 2,5% di persone ricoverate fuori dalla regione di residenza).
Si attesta intorno al 5% anche la quota di persone che si spostano dalle province delle due isole maggiori, si va dal 3,7% del Sud Sardegna a circa l’8% di Trapani e Caltanissetta (Figura 18). Infine, la quota di quanti si spostano per un ricovero fuori regione è il doppio nelle province di tipo rurale rispetto a chi vive in quelle prevalentemente urbane (12,1% contro 6,3%).
La mobilità sanitaria è invece più elevata nelle piccole regioni: in Molise, con Isernia (28,2%) e Campobasso (27,0%), in Basilicata, con Matera (28,9%) e Potenza (22,8%), oltre che nella provincia di Cosenza (23,0%).
In media, inoltre, nelle province prevalentemente rurali i flussi sono circa il doppio rispetto alle aree urbane (12,1% contro 6,3%).