Spesa sanitaria in Italia molto ridotta rispetto a Germania e Francia. Quella privata cresce più che negli altri Paesi Ue. Lontano recupero delle liste d’attesa. Il rapporto della Corte dei Conti
5 aprile - La spesa sanitaria pubblica italiana, pari a circa 131 miliardi, risulta ridotta rispetto ai 423 della Germania e ai 271 della Francia. A parità di potere d’acquisto, la spesa italiana pro capite risulta meno della metà di quella della Germania. A fronte del 21,4% di spesa privata per la sanità sostenuta dalle famiglie italiane, l’out of pocket in Francia raggiunge appena l’8,9% del valore totale, mentre in Germania si ferma all’11%. Nonostante il sottofinanziamento reggono ancora le performance del Ssn. IL RAPPORTO
A seguito dell’emergenza Covid il Fondo sanitario nazionale è tornato a crescere a ritmi ben più sostenuti rispetto agli anni precedenti. Nonostante ciò, resta ancora alto il gap tra la spesa italiana e quella finanziata da Germania, Francia e Regno Unito. Questo, insieme ad un recupero delle liste d’attesa, ulteriormente peggiorante nel periodo pandemico, ha portato ad una crescita della spesa privata sostenuta dalle famiglie ben più alta rispetto a quella degli altri Paesi europei.
Nonostante le difficoltà ed il sottofinanziamento, il Sistema sanitario nazionale tiene botta e continua a far registrare buone performance.
Questi solo alcuni dei dati emersi dalla Relazione della Corte dei Conti al Parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali.
Con il Covid torna a crescere il Fsn. La Corte dei Conti sottolinea come lo sforzo di efficientamento gestionale del decennio passato sembra aver dato risultati permanenti che “nel complesso hanno resistito anche di fronte a un evento imprevedibile e di portata epocale, come la pandemia da Covid-19”. La spesa sanitaria corrente in termini di contabilità nazionale “è salita a 131,1 miliardi di euro nel 2022, dai 127,5 del 2021 e dai 122,7 del 2020 dopo essere stata nei sette anni precedenti assestata attorno a 110 miliardi”. A fronte di questo livello complessivo di spesa, il finanziamento ordinario del Sistema sanitario nazionale “è salito nel 2022 a 125,98 miliardi dai 122 del 2021, e i 120,5 del 2020”.
Se si considera il dato globale nelle sue componenti, si nota che “un anno di svolta è rappresentato dall’esercizio 2020, nel quale la componente dei redditi da lavoro dipendente (37,3 miliardi) scende al di sotto della spesa per i consumi intermedi (39,2 miliardi), che proseguono a crescere più della spesa per i dipendenti anche nel biennio successivo (38,2 miliardi nel 2021 e 40,37 nel 2022)”. La spesa per il personale fino al 2017 aveva registrato decrementi annui di poco inferiori a un punto percentuale. “Va registrata in questo ambito una crescita improvvisa del 5,5% nel 2022, anche per la corresponsione di arretrati dei rinnovi contrattuali. Ben più dinamica è stata invece la crescita della spesa per consumi intermedi, passati dai 29,8 miliardi del 2013 ai 44,4 miliardi del 2022, tendenza rafforzata anche dalle spese straordinarie dovute all’emergenza pandemica”.
Aumenta il personale, scendono i redditi. Solo nell’anno 2022, in conseguenza dell’emergenza pandemica, “le unità del personale hanno superato di poco i livelli occupazionali del 2008, ponendo fine a un decennio di riduzione, mentre la spesa per i redditi da lavoro dipendente ha eguagliato, in termini nominali, quella del 2008 solo a partire dall’anno 2021 (38,5 mld, +0,3% rispetto al 2008, pari a 38,3 mld), segnando, quindi, comunque una riduzione netta in termini reali”.
Liste d’attesa, è ancora lontano il loro recupero. Gli effetti negativi della pandemia sulle erogazioni di servizi sanitari si protraggono anche nel biennio 2022-2023 e appaiono ben lontani dall’essere recuperati. I dati pubblicati da Agenas sul rispetto dei tempi di attesa degli interventi chirurgici “urgenti” (classe A), da erogare quindi entro 30 giorni dalla prescrizione, “indicano che nel 2021, sul piano nazionale, su 12 tipologie di interventi relativi alle principali patologie tumorali o cardiache, solo per quattro è migliorata rispetto al 2019 la percentuale di erogazione delle prestazioni nei tempi standard di attesa; nel 2022, inoltre, rispetto all’anno precedente, vi è stato un lieve, generalizzato, peggioramento della performance per tutte le tipologie di intervento, ed i volumi di attività complessivamente erogati dalle strutture ospedaliere pubbliche e accreditate, pur incrementati di 328.000 unità rispetto al 2021, sono stati ancora inferiori di circa il 10% rispetto al 2019 (pari, in valore assoluto, a 890.000 ricoveri in meno); il recupero ha riguardato soprattutto i ricoveri programmati e diurni, mentre quelli di urgenza sono stati, nel 2022, ancora inferiori del 13% rispetto al 2019”.
Confrontando, invece, le variazioni dei volumi di attività dei Servizi sanitari regionali del primo semestre 2023 con il 2019, relativi al totale delle prestazioni di specialistica ambulatoriale, “i dati Agenas evidenziano che solo 15 Regioni su 21, nello scorso anno, hanno superato i livelli del 2019, mentre 6 Regioni (Abruzzo, Valle d’Aosta, Calabria, Molise, P.A. di Bolzano) erano ancora al di sotto del valore soglia di quell’anno”.
Cresce la spesa privata, più che negli altri Paesi UE. Il relativo contenimento della spesa pubblica sanitaria e il fenomeno delle liste di attesa hanno come corollario una spesa privata al di fuori del Servizio sanitario nazionale che appare assai elevata, crescente, e molto superiore a quella degli altri paesi dell’UE. “Nel 2022, in Italia la spesa diretta a carico delle famiglie è stata il 21,4% di quella totale, pari ad un valore pro capite di 624,7 euro, in crescita del 2,10% rispetto al 2019, con ampi divari tra Nord (che spende mediamente di più) e Mezzogiorno. Confrontandola con quella dei maggiori paesi europei, a fronte del 21,4% di quella italiana, corrispondente, a parità di potere d’acquisto, a 920 dollari pro capite, l’out of pocket in Francia raggiunge appena l’8,9% del valore totale (corrispondente, per il 2021, 544 dollari pro capite), l’11% in Germania (882 dollari pro capite)”.
Più investimenti in sanità, anche al Sud. La spesa per investimenti fissi lordi sanitari, in termini di competenza, ha avuto storicamente livelli modesti, con un picco di 5 miliardi nel 2008 (pari al 9,8% del totale degli investimenti pubblici) per scendere nel 2019 al minimo di 3,3 miliardi. Con la pandemia nel 2020 gli investimenti in sanità crescevano del 6,5% superano i 6,2 miliardi per stabilizzarsi nel 2021 e nel 2022 attorno alla soglia dei 5 miliardi. Viene tuttavia sottolineato un positivo fenomeno di riequilibrio territoriale.
“Rispetto al 2019, nel 2022 la crescita degli investimenti degli Enti del Ssn del Mezzogiorno, pari al 49,8%, è stata più dinamica di quella dell’intero comparto a livello nazionale (+35,9%), e l’incidenza della quota degli stessi sul totale nazionale è cresciuta di circa 3 punti percentuali, dal 26,6 al 29,3%; questi dati sono un primo segnale, positivo, riguardo al percorso di recupero dei divari infrastrutturali, programmato con i fondi Pnrr e Pnc e ‘potenziato’ con la riserva del 40% delle risorse territorializzabili in favore degli Enti del Mezzogiorno”. In valore assoluto pro capite, invece, nel 2022 la spesa più alta si registra nelle Regioni a statuto speciale Valle d’Aosta (1.198 euro) e Trentino-Alto Adige (1.115 euro), quella più bassa nel Lazio (150 euro) ed in Sicilia (197 euro); la variazione percentuale più rilevante, invece, si registra in Valle d’Aosta (+125,2%) e Sicilia (+122,2%) che partiva da valori pro capite molto modesti.
La spesa sanitaria in Italia cresce meno rispetto ai grandi paesi europei. Nel confronto internazionale prendendo a riferimento l’anno 2022, la spesa sanitaria pubblica italiana, pari a circa 131 miliardi, risulta ridotta rispetto ai 423 della Germania e ai 271 della Francia. A parità di potere d’acquisto, la spesa italiana pro capite risulta meno della metà di quella della Germania. “Nel biennio della pandemia, 2020-2021, la spesa sanitaria pubblica è aumentata, in valore cumulato, del 15,5% in Italia, un incremento molto superiore al decennio precedente, ma inferiore a quello registratosi in Francia (+19,2%), Germania (18,4%), e Regno Unito (+28,6%). L’incidenza della spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil è stata pari al 6,8%, superiore di un decimo di punto a quella del Portogallo (6,7%) e di 1,7 punti rispetto alla Grecia (5,1%), ma inferiore di ben 4,1 punti a quella tedesca (10,9%), di 3,5 punti a quella francese (10,3%), e inferiore di mezzo punto anche a quella spagnola (7,3%)”.
Nonostante i finanziamenti, reggono le performance del Ssn. Nonostante il confronto europeo evidenzi un contenimento della spesa, i risultati della performance del sistema sanitario nazionale continuano ad essere relativamente positivi. “Ad esempio, tra gli indicatori di qualità delle cure, quello relativo al tasso di mortalità prevenibile in Italia (91 per 100.000 abitanti) o trattabile (55 per 100.000 abitanti) risulta molto inferiore alla media Ocse (pari, rispettivamente, a 158 e 79 per 100.000 abitanti); tra gli indicatori di qualità delle cure, quello relativo alla mortalità a 30 giorni dopo un attacco ischemico segnala valori più positivi per l’Italia (6,6% a fronte del 7,8% della media Ocse). Anche la qualità dell’assistenza primaria evidenzia valori nettamente migliori per l’Italia (214 ricoveri inappropriati per infarto acuto del miocardio ogni 100.00 abitanti, a fronte, in media, di 463 nei paesi Ocse); negli accertamenti preventivi, il 56% delle donne risulta avere aderito a screening per il cancro al seno, poco più della media Ocse (55%)”.
Valori meno positivi, invece, “nel consumo, eccessivo, di antibiotici, e nel tasso di mortalità dovuto all’inquinamento atmosferico (40,8 per 100.000 abitanti, a fronte di una media Ocse di 28,9). Riguardo alle risorse umane, gli indicatori segnalano, per l’Italia, un tasso di medici praticanti pari a 4,1 per 1.000 abitanti, superiore alla media Ocse (3,7), ma un numero insufficiente di infermieri 6,2 a fronte di 9,2, e, inoltre, un numero di posti letto ospedalieri, pari a 3,1 per 1.000 abitanti, anch’esso inferiore al dato medio Ocse, pari a 4,3”.
Peggiora la speranza di vita, soprattutto al Sud. La pandemia ha ridotto sia la speranza di vita della popolazione italiana di circa un anno, sia l’attività di prevenzione. La speranza di vita senza limitazioni nelle attività a 65 anni, pari, a livello nazionale a 10 anni, scende a 8,3 nel Mezzogiorno e a 7,8 nelle Isole, mentre nel Nord sale a 11,0 anni. Particolarmente critica appare la situazione della Regione Campania dove “si osserva una causalità diretta tra stili di vita e situazione di multi-cronicità e limitazioni gravi tra le persone di oltre 75 anni che risulta del 66,5% rispetto a una media nazionale del 49%. In generale, la situazione di multi-cronicità grave risulta in media 12 punti superiore nel Mezzogiorno rispetto alle Regioni del Nord e 8 -10 punti superiore a quelle del Centro”.
Con riguardo alla prevenzione, mentre a livello generale il Paese si colloca in un range superiore alla media Ocse, in quello regionale “si apprezza una minore compliance delle Regioni meridionali, le cui popolazioni aderiscono in misura assai ridotta all’attività di screening e presentano, in media, una situazione di aspettativa di vita complessiva e di multicronicità con limitazioni gravi a 75 anni assai meno favorevoli del Centro-nord”.
Punteggi Lea: migliorano Abruzzo, Campania e Puglia; cresce ancora il gap per Basilicata, Molise e Calabria. Nel confronto dei punteggi per i Lea delle Regioni del Mezzogiorno con quelli delle Regioni best performer, negli anni 2012 e 2019, una “netta riduzione dei divari territoriali si registra su tre Enti su sette (Abruzzo, Campania, Puglia), mentre per tre di essi si registra un aumento del differenziale a loro sfavore (Basilicata, Molise e, soprattutto, Calabria), che invece risulta in lieve riduzione nel caso della Sicilia”.
Confrontando i risultati delle Regioni del Mezzogiorno con le migliori performance del 2012 (Emilia-Romagna, pari a 210 punti) e del 2019 (Veneto e Toscana, pari a 222 punti), si osserva che la Campania ha ridotto lo scarto differenziale negativo di circa il 42%, da 93 a 54 punti; l’Abruzzo, (che ha conseguito l’incremento in assoluto più alto con + 59 punti), riduce il suo differenziale negativo del 72%, portandolo da 65 a 18 punti. Anche la Puglia ha migliorato nettamente la propria performance, riducendo del 59% il differenziale a proprio sfavore, che scende da 70 a 29 punti. Per la Sicilia il differenziale con le best performer scende da 53 a 49 punti, nel caso del Molise invece sale da 64 a 71 punti. Infine, il differenziale negativo tra la Calabria e la best performer del 2012 (l’Emilia-Romagna), pari a 77 punti, nel 2019 incrementa a 96 punti.
Mobilità sanitaria, le Regioni in piano di rientro le meno attrattive. Nell’analisi del fenomeno della mobilità sanitaria interregionale, le Regioni con maggiore capacità attrattiva risultano quelle che nell’ambito della valutazione dei Lea ottengono i punteggi più elevati. Le Regioni “meno attrattive” sono, ad eccezione del Molise, quelle in piano di rientro (Abruzzo, Puglia, Sicilia, Lazio, Calabria, Campania). Se fino al 2021 la Regione che generava un ampio saldo positivo della mobilità interregionale era la Lombardia, per il 2022 e il 2023 il primato spetta all’Emilia-Romagna.
“La mobilità incide sulle entrate a disposizione di ciascuna Regione per il finanziamento del sistema sanitario, attraverso un complesso meccanismo di compensazione che può essere valutato solo in prospettiva pluriennale. In questa direzione nell’arco di un decennio, la Lombardia si è trovata a disporre di risorse aggiuntive per 5,6 miliardi, l’Emilia-Romagna per 3,4, il Veneto per 1,3 e la Toscana per 1, il Molise per 282 milioni. Sul fronte opposto la Campania ha perduto risorse per 2,7 miliardi, la Calabria per 2,4, il Lazio per 2,2, la Sicilia per 1,9 miliardi. Perdite non trascurabili di risorse da mobilità si sono riscontrate anche per Abruzzo, Liguria, Piemonte e Marche”.
Cresce la spesa farmaceutica complessiva. L’andamento della spesa farmaceutica e il rispetto dei tetti di spesa previsti è stato esaminato sulla base di dati aggiornati forniti da Aifa. “Nel periodo gennaio-settembre 2023, la spesa farmaceutica complessiva (che include la farmaceutica convenzionata, 7.0% del Fsn, e gli acquisti diretti, 7.85%, di cui 0,20% per i gas medicinali), è stata pari a 16,4 miliardi, in aumento di circa 1 miliardo (+6,9%) rispetto al medesimo periodo del 2022, con un’eccedenza di spesa di 2,3 miliardi, che ha portato l’incidenza media nazionale dell’aggregato sul Fsn dal 16,4 (nei primi tre trimestri del 2022) al 17,21% (nel medesimo arco temporale del 2023)”. Tutte le Regioni, ad eccezione della Valle d’Aosta, hanno superato il tetto programmato (14,85% del Fsn).
Tra le sue componenti, sempre nel periodo gennaio-settembre 2023, “la spesa farmaceutica convenzionata, sul piano nazionale, è stata contenuta nell’ambito del relativo tetto di spesa, essendo stata pari al 6,36% del Fsn, inferiore di 0,6 punti percentuali allo specifico limite di spesa fissato al 7% del Fsn; in valore assoluto, la spesa è stata pari a circa 6,1 miliardi, inferiore di 611,4 milioni di euro al limite programmato; confrontandola con quella dei primi tre trimestri del 2022, la variazione positiva è stata pari a 109 milioni (+1,8%). Disaggregando il risultato nazionale, si osserva che cinque Regioni (Lombardia, Basilicata, Sardegna, Campania e Abruzzo), hanno registrato una spesa superiore al 7,0% del Fsr, con scostamento massimo in Lombardia (+58,7 mln) e minimo in Abruzzo (233 mila euro). La somma degli scostamenti positivi di tali Regioni, pari complessivamente a circa 66 milioni, è stata più che compensata dalla minore spesa degli altri Enti; tra questi, il Veneto ha registrato una spesa inferiore di 142 milioni al tetto del 7% del Fsr, pari a circa il doppio del surplus complessivo di spesa, seguito dall’Emilia Romagna (-139 milion) e dalla Toscana (-96 miliardi)”.
La spesa per gli acquisti diretti (al netto dei payback e di quella per farmaci innovativi e gas medicinali), nel periodo gennaio- settembre 2023 ha raggiunto i 10,2 miliardi, in crescita di 945 milioni (+10,2%) rispetto all’analogo periodo del 2022, con un’incidenza sul Fsn pari al 10,66%, ossia 3 punti percentuali oltre il tetto programmato (7,65%), e 0,8 punti percentuali più del valore (nello stesso arco temporale) per il 2022 (9,86% del Fsn). “Tutte le Regioni hanno registrato un eccesso di spesa, contribuendo così al superamento del tetto di spesa a livello nazionale, ma con un ampio scarto, pari a 3,8 punti percentuali, tra valore minimo (Lombardia) e massimo (Sardegna)”.
Scenda la spesa per ticket. Un approfondimento è dedicato alla compartecipazione alla spesa per prestazioni sanitarie (Ticket) che risulta in diminuzione nel triennio analizzato. In particolare, nel 2021 le risorse ammontano a 968,68 milioni, con una riduzione del 28,63% rispetto al 2019 (oltre 1,3 miliardi), e in lieve ripresa rispetto al 2020 (823,5 milioni). ”L’andamento delle risorse mostra un evidente effetto dello stato di emergenza pandemica, che ha ovviamente influito sulla quantità delle prestazioni sanitarie eseguite nel corso del 2020, mentre nel 2021 vi è stata una timida ripresa. La riduzione delle sotto voci di entrata riferibili al ticket è generalizzata e riguarda non solo le prestazioni di pronto soccorso, ma anche l’ambito della specialistica ambulatoriale (rispettivamente -32,24% e -28,39% nel triennio 2019-2021)”.
I ricavi da ticket per abitante, nel 2021, “sono pari a 17 euro, in riduzione di 6 euro rispetto al valore del 2019 (23 euro). Nel triennio, il valore più elevato si rileva nella Regione Valle d’Aosta (47 euro nel 2021, 65 euro nel 2019); a seguire, le Province autonome di Trento e Bolzano e le Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Le Regioni con un importo di ticket per abitante più basso, sempre nella serie storica considerata, sono la Sicilia, la Campania, la Puglia e la Calabria”.
Crescono i debiti del Ssn. La voce debiti v/fornitori è cresciuta nel corso degli anni passando dagli oltre 15,26 mld del 2019 ai 17,47 mld del 2021 con un aumento percentuale pari al 24,04%. “L’ammontare dei debiti verso fornitori (per anno di formazione della fattura) presenta un importo rilevante ante 2018 pari al 13% del totale; vale a dire che i debiti sorti prima del 2018 che non risultano ancora pagati a fine 2021, ammontano a circa 2,4 miliardi, di cui in contenzioso giudiziale o stragiudiziale ammonta a 726 milioni”.
Restano critici i tempi medi di pagamento in Calabria. Sui tempi medi di pagamento è emerso un miglioramento generalizzato, che si riscontra, ad esempio, in Piemonte, Lazio e Puglia. L’introduzione della fatturazione elettronica è causa diretta del miglioramento nella gestione dei pagamenti, anche se occorre una maggiore attenzione all’utilizzo integrale della Piattaforma crediti commerciali, come segnalano puntualmente i verbali dei tavoli ministeriali. “Rimane assai critica la situazione dei tempi di pagamento degli Enti della Regione Calabria. All’interno del dato della Calabria, si registrano ampi scostamenti tra l’Ente più efficiente, con un ritardo pari a zero nel 2019 e pari a -9 giorni nel 2021 e il soggetto più critico nel quale si scende da un ritardo di pagamento di 946 giorni a uno di 534. Destano attenzione anche i risultati emersi per gli Enti del Molise e della Sardegna anche se in miglioramento rispetto agli anni precedenti”.
G.R.