Scheda pratica
Con la consulenza del Dott. Giovanni Pomili
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I test di diagnosi prenatale si dividono in due categorie: invasivi, come l'amniocentesi, la villocentesi e la funicolocentesi, e non invasivi, come l'ecografia.
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Il Tritest rientra nelle indagini non invasive: tramite il dosaggio di tre ormoni nel sangue della donna gravida, riesce a fare una stima delle possibili anomalie cromosomiche del feto. Si esegue intorno alla sedicesima settimana. Si tratta di un test statistico, non diagnostico: per confermare la diagnosi è inevitabile il ricorso a esami più invasivi come l'amniocentesi.
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La villocentesi consiste nel prelievo dei villi coriali (un piccolo frammento di placenta) che, avendo lo stesso corredo genetico del feto, permettono di identificare il cariotipo del bambino, cioè i suoi cromosomi, e diagnosticare eventuali anomalie. Si effettua intorno alla dodicesima settimana. I rischi di abortività di questa procedura si attestano su un caso ogni 100.
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L' amniocentesi è il prelievo di liquido amniotico, nel quale vi sono cellule che hanno lo stesso corredo genetico del bambino, per verificare la presenza di anomalie cromosomiche. Si effettua tra la sedicesima e la diciottesima settimana di gravidanza.
La percentuale di rischio dell'amniocentesi è ancora controversa: fino a pochi anni fa si attestava intorno all' 1%; oggi questa percentuale è scesa allo 0,5% (che significa 1 caso d'aborto su 200 procedure), stima accettata universalmente nonostante studi ancora più recenti sostengano un ulteriore aumento della sicurezza di questa procedura (0,1-0,2% di rischio).
Sui rischi correlati all'amniocentesi è uscito di recente un articolo sulla rivista Evidence Based Medicine in cui il professor Claudio Giorlandino, presidente della SIDIP, Società Italiana di Diagnosi Prenatale, sostiene che la donna che si sottopone ad amniocentesi corre lo stesso rischio d'aborto della donna che decide di non farla.
Uno studio retrospettivo, eseguito su 15 Centri che eseguono Diagnosi Prenatale negli Stati Uniti, realizzato dal Professor Keith Eddleman della Mount Sinai School of Medicine di New York e pubblicato su Obstetrics and Gynecology, parla di una percentuale di aborto dopo amniocentesi pari allo 0,06%. Questa percentuale rappresenta il rischio aggiunto di aborto per chi si sottopone all'amniocentesi rispetto a chi non la esegue, pertanto non deve essere interpretata come il rischio assoluto d’aborto nelle donne che si sottopongono ad amniocentesi, ma come il rischio aggiuntivo attribuibile alla procedura. -
È il ginecologo che, insieme alla donna, decide se effettuare la villocentesi o l'amniocentesi. La villocentesi permette una diagnosi più precoce perché viene effettuata prima dello scadere del terzo mese di gravidanza, però ha una percentuale di rischio leggermente superiore rispetto all'amniocentesi che, al contrario, viene eseguita in un'epoca successiva ma è considerata una tecnica più sicura e consolidata.
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La diagnosi prenatale ha una forte implicazione etica. Ci sono donne che, pur presentando un alto rischio di anomalie fetali dovuto ad alcuni fattori come l'età, preferiscono non fare accertamenti perché sono certe di poter accettare anche l'eventualità di un figlio malato, ad esempio, di sindrome di Down. Esistono, al contrario, molte future mamme che hanno un rischio basso ma non rinunciano alle indagini di accertamento sulla salute del bambino, magari avvalendosi di particolari tecniche ecografiche non invasive ma particolarmente accurate nel diagnosticare le malformazioni fetali.
[Milano, febbraio 2009]