Associazione dei Ginecologi Italiani:
ospedalieri, del territorio e liberi professionisti

slider_medici.jpg
topbanner2b.jpg
topbanner3d.jpg
  • Aogoi
  • Notiziario
  • ARCHIVIO NEWS
  • Natalità. Anche nel 2021 prosegue calo nascite in Italia. E anche gli immigrati residenti fanno meno figli. Il rapporto Istat

Natalità. Anche nel 2021 prosegue calo nascite in Italia. E anche gli immigrati residenti fanno meno figli. Il rapporto Istat

19 dicembre 2021 - Secondo i dati provvisori di gennaio-settembre le minori nascite sono già 12 mila 500, quasi il doppio di quanto osservato nello stesso periodo del 2020. Il numero medio di figli per donna scende nel 2020 a 1,24 per il complesso delle residenti, da 1,44 negli anni 2008-2010, anni di massimo relativo della fecondità. Inoltre si riduce il contributo alla natalità dei cittadini stranieri. In media si diventa madri a 31,4 anni e sono Leonardo e Sofia i nomi preferiti. IL REPORT

Ancora un record negativo per la natalità: nel 2020 i nati sono 404.892 (-15 mila sul 2019). Il calo (-2,5% nei primi 10 mesi dell’anno) si è accentuato a novembre (-8,3% rispetto allo stesso mese del 2019) e dicembre (-10,7%), mesi in cui si cominciano a contare le nascite concepite all’inizio dell’ondata epidemica.
 
Ma la denatalità prosegue nel 2021. Secondo i dati provvisori di gennaio-settembre le minori nascite sono già 12 mila 500, quasi il doppio di quanto osservato nello stesso periodo del 2020. Il numero medio di figli per donna scende nel 2020 a 1,24 per il complesso delle residenti, da 1,44 negli anni 2008-2010, anni di massimo relativo della fecondità.
 
I dati sono stati raccolti in un rapporto dedicato realizzato dall'Istat.
 
Il nuovo record di denatalità
Nel 2020 i nati della popolazione residente sono 404.892, circa 15 mila in meno rispetto al 2019
(-3,6%). Anche nel 2020 c’è un nuovo superamento, al ribasso, del record di denatalità.
Dal 2008 le nascite sono diminuite di 171.767 unità (-29,8%). Il calo è attribuibile per la quasi totalità alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani (316.547 nel 2020, oltre 163 mila in meno rispetto al 2008).
 
Si tratta di un fenomeno di rilievo, in parte dovuto agli effetti “strutturali” indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. In questa fascia di popolazione le donne italiane sono sempre meno numerose: da un lato, le cosiddette baby-boomers (ovvero le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta) stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o si stanno avviando a concluderla); dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti. Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995.
 
A partire dagli anni duemila l’apporto dell’immigrazione, con l’ingresso di popolazione giovane, ha parzialmente contenuto gli effetti del baby-bust; tuttavia, l’apporto positivo dell’immigrazione sta lentamente perdendo efficacia man mano che invecchia anche il profilo per età della popolazione straniera residente.
 
A diminuire sono soprattutto le nascite all’interno del matrimonio, pari a 259.823 nel 2020, quasi 20 mila in meno rispetto al 2019, 204 mila in meno nel confronto con il 2008 (-44,0%). Ciò è dovuto anche al forte calo dei matrimoni che si è protratto fino al 2014, anno in cui sono state celebrate appena 189.765 nozze (rispetto, ad esempio, al 2008 quando erano 246.613) per poi proseguire con un andamento altalenante.
 
La denatalità prosegue nel 2021; secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio-settembre, le nascite sono già 12 mila e 500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2020, quasi il doppio di quanto osservato nello stesso periodo l’anno precedente. Tale forte diminuzione è da mettere in relazione al dispiegarsi degli effetti negativi innescati dall’epidemia da Covid-19, che nel solo mese di gennaio 2021 ha fatto registrare il maggiore calo di sempre (quasi 5.000 nati in meno, -13,6%).
 
Ottomila primi figli in meno in un anno
La fase di calo della natalità avviatasi nel 2008 si ripercuote soprattutto sui primi figli (47,5% del totale dei nati): nel 2020 sono 192.142 (oltre 8 mila in meno sul 2019, pari a -4,1%; -32,5% sul 2008). Complessivamente i figli di ordine successivo al primo sono diminuiti del 27,3% nello stesso arco temporale.
 
La forte contrazione dei primi figli rispetto al 2008 interessa tutte le aree del Paese – compresa la provincia autonoma di Bolzano che fino all’anno scorso era l’unica a presentare un lieve aumento – ed è superiore a quella riferita a tutti gli ordini di nascita in quasi tutte le regioni italiane del Nord e del Centro. Tale fenomeno testimonia la difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli; problematica diversa rispetto all’inizio del millennio quando la criticità riguardava soprattutto il passaggio dal primo al secondo figlio.
 
Rispetto al 2008 i primi figli si sono ridotti soprattutto al Centro (-36,8%), con l’Umbria che presenta la diminuzione più accentuata (-41,6%). Anche le regioni del Nord registrano diminuzioni significative, con il calo maggiore in Valle d’Aosta (-46,6%).
Tra le cause del calo dei primi figli vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale.
 
Si riduce il contributo alla natalità dei cittadini stranieri
Dal 2012 al 2020 diminuiscono anche i nati con almeno un genitore straniero (quasi 19 mila in meno) che, con 88.345 unità, costituiscono il 21,8% del totale dei nati, oltre 4 mila in meno solo nell’ultimo anno.
 
I nati da genitori entrambi stranieri, scesi sotto i 70 mila nel 2016, arrivano per la prima volta nel 2020 sotto la soglia dei 60 mila (59.792, -20 mila in meno rispetto al 2012), anche per effetto delle dinamiche migratorie nell’ultimo decennio, e costituiscono il 14,8% del totale dei nati. Le grandi regolarizzazioni del 2002 hanno dato origine, negli anni 2003-2004, alla concessione di circa 650 mila permessi di soggiorno, in gran parte tradotti in un “boom” di iscrizioni in anagrafe dall’estero (oltre 1 milione 100 mila in tutto).
 
Forte impatto della pandemia sulle nascite
Nei primi dieci mesi del 2020 le nascite diminuiscono del 2,5%, in linea con il ritmo del periodo 2009- 2019 (-2,8% in media annua). La discesa accelera in misura marcata nei mesi di novembre (-8,3% rispetto allo stesso mese dell’anno prima) e, soprattutto, di dicembre (-10,7%, Figura 3), in corrispondenza dei concepimenti dei primi mesi dell’ondata epidemica.
 
Nel Nord-ovest, più colpito dalla pandemia durante la prima ondata, a dicembre il calo tocca il 15,4%. Il clima di incertezza e le restrizioni relative al lockdown sembrano dunque aver influenzato la scelta di rinviare il concepimento. A gennaio 2021 [i] si rileva la massima riduzione di nati a livello nazionale (13,6%), con picco nel Sud (-15,3%) che prosegue, più contenuta, anche a febbraio (-4,9%); queste nascite sono, per la quasi totalità, riferibili ai concepimenti di aprile e maggio 2020.
 
E la denatalità prosegue anche nel 2021
Il forte calo dei nati a gennaio 2021, tra i più ampi mai registrati, dopo quello già marcato degli ultimi due mesi del 2020, lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia. Il crollo delle nascite tra dicembre e febbraio, riferibile ai mancati concepimenti della prima ondata pandemica, poteva essere dovuto al posticipo di pochi mesi dei piani di genitorialità. Tuttavia, dai primi dati disponibili, tale diminuzione sembra l’indizio di una tendenza più duratura in cui il ritardo è persistente o, comunque, tale da portare all’abbandono nel breve termine della scelta riproduttiva.
 
L’aumento dei nati osservato a marzo 2021, forse riconducibile all’impressione di superamento dell’emergenza, porta a una lieve inversione di tendenza con un aumento dei nati rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (+4,5%); si tratta dei nati concepiti durante la fase di transizione tra le due ondate epidemiche del 2020.
 
L’andamento dei nati rimane debolmente positivo nel mese di aprile (+1%) per poi crollare soprattutto nei mesi di giugno (-5,9%) e luglio (-5,8%), in corrispondenza dei concepimenti della seconda ondata epidemica.
La contrazione delle nascite, frutto dei concepimenti della prima ondata, ha riguardato in misura più marcata i nati all’interno del matrimonio, da genitori stranieri e quelli con genitori molto giovani. Il recupero che si osserva a marzo è dovuto in maniera sostanziale ai nati da non coniugati, da genitori entrambi italiani e da madri dai 35 anni ai 44 anni.
 
L’effetto negativo della seconda ondata epidemica, invece, ha riguardato tutte le tipologie di genitori, anche se in misura più contenuta rispetto alla prima. Fanno eccezione i nati fuori dal matrimonio che aumentano a partire da febbraio 2021, con valori massimi a marzo (+14,6%) e aprile (+15,9%).
 
I nati di cittadinanza straniera, già in calo del 3,7% tra gennaio e ottobre 2020, accentuano progressivamente il loro trend di decrescita rispetto agli italiani. A novembre e dicembre 2020 diminuiscono dell’11,5% contro il -9,2% dei nati italiani, ma il differenziale si amplia a gennaio 2021
(-24,4% contro -11,7%) e ancora di più a febbraio (-17,3% contro -2,7%).
Il leggero recupero della natalità registrato a marzo e aprile 2021 riguarda infatti esclusivamente i nati italiani (rispettivamente +7,0% e +2,5%).
 
Posticipano la maternità soprattutto le donne più giovani
L’evoluzione della natalità è fortemente condizionata dalle variazioni nella cadenza delle nascite rispetto all’età delle madri. In questo scenario è interessante osservare come abbia agito la crisi sulle scelte riproduttive di una popolazione che diventa genitore sempre più tardi. A livello nazionale, nel periodo gennaio-ottobre 2020 la contrazione dei nati riguarda soprattutto le giovanissime (-5,6% per le donne fino a 24 anni) ed esclude solo le età più avanzate, che presentano invece un aumento (+7,1% nella classe di età 45 e oltre, Figura 4).
 
La fecondità delle cittadine italiane al minimo storico
Nel 2020 le donne residenti in Italia tra 15 e 49 anni hanno in media 1,24 figli (1,27 nel 2019), accentuando la diminuzione in atto dal 2010, anno in cui si è registrato il massimo relativo di 1,44.
 
In media si diventa madri a 31,4 anni
Le donne residenti in Italia hanno accentuato il rinvio dell’esperienza riproduttiva verso età sempre più avanzate. Rispetto al 1995, l’età media al parto aumenta di oltre due anni, raggiungendo i 32,2 anni; in misura ancora più marcata cresce anche l’età media alla nascita del primo figlio, che si attesta a 31,4 anni nel 2020 (oltre 3 anni in più rispetto al 1995).
Le regioni del Centro sono quelle che presentano il calendario più posticipato (32,6 anni). Le madri residenti nel Lazio hanno un’età media al parto pari a 32,7 anni, al pari delle madri del Molise, superate solo da quelle della Basilicata (33 anni) e della Sardegna (32,8).
 
Leonardo e Sofia i nomi preferiti
Sulla base delle informazioni contenute nella rilevazione degli iscritti in anagrafe per nascita, l’Istat elabora la distribuzione dei nomi maschili e femminili più frequenti nel 2020. A livello nazionale, il nome Leonardo mantiene il primato conquistato nel 2018; Francesco anche quest’anno si conferma al secondo posto mentre Alessandro riconquista la terza posizione scalzando Lorenzo che scende al quarto posto.
 
Per i nomi femminili rimane stabile in prima posizione Sofia, ma anche quest’anno si rileva uno scambio sul podio tra Giulia, che risale dal terzo al secondo posto, e Aurora, che scende dal secondo al terzo. Nonostante ci siano oltre 26 mila nomi diversi per i bambini e oltre 25 mila per le bambine (includendo sia i nomi semplici sia quelli composti), la distribuzione del numero di nati secondo il nome rivela un’elevata concentrazione intorno ai primi 30 in ordine di frequenza, che complessivamente coprono oltre il 44% di tutti i nomi attribuiti ai maschi e quasi il 38% di quelli delle femmine.

 

menu
menu