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Tumore della mammella: la presenza di un infiltrato linfocitario può influenzare risposta alla terapia e prognosi

26 gennaio 2018 - Un grande studio tedesco è andato a valutare le ricadute della presenza di un infiltrato linfocitario più o meno importante all’interno del tumore, sulla risposta alla terapia neoadiuvante e sulla sopravvivenza di un ampio numero di pazienti con carcinoma della mammella.


Da qualche tempo c’è un nuovo protagonista nella lotta contro i tumori, il microambiente tumorale, sul quale si sta appuntando l’attenzione degli esperti, soprattutto nell’era dell’immunoterapia.
 
È noto ad esempio che i tumori della mammella HER2-positivi e tripli negativi con un infiltrato immunitario (linfociti infiltranti il tumore, TIL) più importante, mostrano una risposta migliore alla chemioterapia neoadiuvante. Non è tuttavia noto se i TIL abbiano un ruolo nella prognosi di tutti i sottotipi di tumore della mammella.  
 
Per valutare dunque se la ‘quantità’ della risposta immunitaria presente all’interno del tumore possa dunque avere un significato prognostico (che si andrebbe ad aggiungere ad altre caratteristiche del tumore, quali dimensioni, presenza o meno di metastasi linfonodali), Carsten Denkert e colleghi di varie università tedesche hanno condotto uno studio, il più grande mai effettuato in questo campo, pubblicato su Lancet Oncology.
 
I ricercatori sono andati a valutare la rilevanza dei TIL sulla risposta alla chemioterapia e sulla prognosi delle pazienti con carcinoma della mammella triplo negativo, HER-2 positivo e luminale HER-2 negativo.
 
Per lo studio sono state prese in esame pazienti con carcinoma della mammella trattate con chemioterapia neoadiuvante e arruolate in sei trial clinici randomizzati condotti dal German Breast Cancer Group.
 
I ricercatori hanno valutato il numero di LIT stromali in 3.771 biopsie, secondo i criteri dell’International TIL Working Group; sulla base dei risultati ottenuti sono stati definiti tre gruppi di pazienti: quelle con un basso numero di cellule immunitarie nel tessuto stromale all’interno del tumore (0-10%), quelle con un livello intermedio (11-59%) e infine quelle con un elevato numero di TIL (≥60%).
Gli autori sono andati quindi a valutare la relazione tra l’appartenenza ad uno di questi tre gruppi e la risposta patologica completa, la sopravvivenza libera da malattia (PFS) e la sopravvivenza complessiva (OS) in 2.560 pazienti provenienti da 5 delle sei coorti di pazienti dei trial clinici.
 
I risultati dello studio. 
Tra le pazienti con un carcinoma luminale HER2-negativo, è stata ottenuta una risposta patologica completa nel 6% delle 759 pazienti con basso TIL, nell’11% di quelle con TIL intermedio e nel 28% di quelle con TIL elevato.
Tra le pazienti con carcinoma della mammella HER2-positivo, una risposta patologica completa è stata osservata nel 32% delle  pazienti con basso TIL, nel 39% delle  pazienti con TIL intermedio e nel 48% delle  donne con TIL elevato.
Infine tra le pazienti triplo-negative, una risposta patologica completa è stata raggiunta nel 31% delle pazienti con TIL basso, nel 31% delle donne con TIL intermedio e nel 50% delle con TIL elevato.
 
Interpretazione dei risultati
Mettendo insieme questi risultati, gli autori concludono che un aumento del 10% di linfociti infiltranti il tumore, si associa ad una maggiore sopravvivenza libera da malattia nei tumori tripli negativi e in quelli HER2-positivi, ma non nei luminali HER2-negativi.
 
Un’aumentata concentrazione di TIL è risultata predittiva di una migliore risposta alla terapia neoadiuvante in tutti i sottotipi di tumore considerati ed è risultata associata a un beneficio, in termini di sopravvivenza, nei carcinomi della mammella HER2-positivi e nei tripli negativi.
Al contrario, un’elevata presenza di TIL si è rivelata in questo studio un fattore prognostico negativo rispetto alla sopravvivenza nel caso dei carcinomi della mammella luminali HER2-negativi.
 
Gli autori concludono dunque che questi risultati supportano l’ipotesi che il carcinoma della mammella sia un tumore immunogeno e, in quanto tale, possibile target dell’immunoterapia. Alla luce però dei risultati ottenuti nelle forme tumorali luminali, gli autori ritengono indispensabili ulteriori ricerche volte a chiarire l’interazione del sistema immunitario con le diverse forme di terapia ormonale.
 
Maria Rita Montebelli

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