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  • 55° Rapporto Censis: “Per il 5,9% degli italiani il Covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile e per il 31,4% chi si vaccina fa da cavia”. Per le donne carico di lavoro familiare raddoppiato con la pandemia

55° Rapporto Censis: “Per il 5,9% degli italiani il Covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile e per il 31,4% chi si vaccina fa da cavia”. Per le donne carico di lavoro familiare raddoppiato con la pandemia

3 dicembre 2021 - Il Covid ha fatto emergere un pezzo d’Italia che crede nell’irrazionale: “È un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà”, si legge nell’ultimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese presentato oggi a Roma. A fronte di questo però il 77,0% degli italiani promuove il Ssn per come ha affrontato l’epidemia. Il 67,0% degli italiani ha difficoltà a pensare di poter tornare alla vita precedente (il dato arriva addirittura all’82,7% dei giovani) e il rapporto con la salute, sottolinea il Censis, è uno degli epicentri del cambiamento che il Covid-19 ha innescato nelle nostre vite.

Il Covid ha fatto emergere un pezzo di Italia che, “accanto alla maggioranza ragionevole e saggia” della popolazione coltiva “un’onda di irrazionalità”. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste. Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici.
 
Percentuali preoccupanti, quelle evidenziate oggi dal Censis nel suo 55° Rapporto sulla situazione sociale del Paese presentato a Roma che sottolinea come stia emergendo “una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste”.
 
E non solo sul Covid: il 19,9% degli italiani considera infatti il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone; il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna.
 
La teoria cospirazionistica del “gran rimpiazzamento”, come lo definisce il Censis, ha contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica: “identità e cultura nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, portatori di una demografia dinamica rispetto agli italiani che non fanno più figli, e tutto ciò accade per interesse e volontà di presunte opache élite globaliste”, si legge nel Rapporto.
 
E così, scrive ancora il Censis, “l’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti di protesta che quest’anno hanno infiammato le piazze, e si ritaglia uno spazio non modesto nel discorso pubblico, conquistando i vertici dei trending topic nei social network, scalando le classifiche di vendita dei libri, occupando le ribalte televisive”.
 
Ma gli italiani promuovono il Ssn per come ha reagito all'emergenza. Ma a fronte di tutto questo, comunque la maggioranza degli italiani, il 77%, valuta adeguato l’operato del Servizio sanitario da quando è iniziata l’emergenza sanitaria.
 
E, rileva il Censis, “accanto al riconoscimento dell’eccezionale sforzo compiuto, stanno maturando le aspettative dei cittadini sulla sanità post-Covid”. Con il 94,0% della popolazione che ritiene indispensabile avere sul territorio strutture sanitarie di prossimità, con medici di medicina generale, specialisti e infermieri cui potersi rivolgere sempre in caso di bisogno e il 93,2% che chiede un incremento stabile dei finanziamenti pubblici per la sanità e un altro 70,3% che considera prioritario un più ampio ricorso al digitale e alla telemedicina per effettuare controlli, diagnosi e cure a distanza.
 
Salute fai da te durante la pandemia. Il 67,0% degli italiani ha difficoltà a pensare di poter tornare alla vita precedente (il dato arriva addirittura all’82,7% dei giovani) e il rapporto con la salute, sottolinea il Censis, è uno degli epicentri del cambiamento che il Covid-19 ha innescato nelle nostre vite.
 
Uno degli ambiti in cui ciò è evidente è la gestione autonomia dei piccoli disturbi (mal di schiena, mal di testa, mal di stomaco, ecc.): nell’ultimo anno sono 46 milioni gli italiani che ne hanno sofferto. Come hanno reagito? Il 65,4% (il 77,8% tra i giovani, il 72,8% tra i laureati) ha fatto ricorso almeno una volta a farmaci senza obbligo di ricetta, basandosi nella maggioranza dei casi su esperienze analoghe in cui erano ricorsi al supporto di un medico o di un farmacista.
 
No alle fake news. La valorizzazione della responsabilizzazione individuale si lega a una corretta informazione ed educazione sanitaria che nella sanità del futuro dovrà essere accessibile, diffusa e continuativa, secondo le aspettative dell’83,6% dei cittadini. La maturità degli italiani nel rapporto con l’informazione sulla salute emerge anche dalla richiesta di pene severe per chi diffonde deliberatamente false notizie (56,2%) e di introdurre l’obbligo per le piattaforme di rimuovere le fake news (52,2%).
 
Buona protezione cercasi. La pandemia, rileva il Censis, ha accentuato il senso di vulnerabilità. Il 40,3% degli italiani si sente insicuro pensando alla propria salute e alla futura necessità di dover ricorrere a prestazioni sanitarie. Il 33,9% non si sente sicuro rispetto a un’eventuale condizione di non autosufficienza. Il 27,4% teme la disoccupazione e le relative difficoltà reddituali. Il 27,4% è preoccupato dal tenore di vita che potrà permettersi nella vecchiaia. In prospettiva, la protezione per la maggioranza degli italiani è l’esito di una pluralità di fonti di finanziamento e di soggetti cui rivolgersi.
Per il 61,8% dei cittadini lo Stato garantirà un pacchetto definito e ristretto di bisogni essenziali, e i cittadini dovranno pagarsi da soli le prestazioni in più che vorranno. Secondo il 30,7% il welfare statale non coprirà l’essenziale, tanto che le persone dovranno pagarsi tutto da soli, inclusi i servizi a copertura dei bisogni essenziali. Solo per il 7,5% garantirà la copertura di tutti i bisogni, anche al di là di quelli essenziali.
 
Il boom della povertà. Nel 2020, 2 milioni di famiglie italiane vivono in povertà assoluta, con un aumento rilevante rispetto al 2010, quando erano 980.000: +104,8%. L’aumento è sostenuto soprattutto al Nord (+131,4%), rispetto alle aree del Centro (+67,6%) e del Sud (+93,8%). Tra le famiglie cadute in povertà assoluta durante il primo anno di pandemia, il 65% risiede al Nord, il 21% nel Mezzogiorno, il 14% al Centro. Il disagio sociale ha assunto forme inedite, materializzandosi nel rapporto non sempre facile con il digitale sperimentato da quote significative della popolazione.
 
Lo affermano il 35,2% degli studenti degli ultimi anni delle superiori e dell’università, che hanno avuto difficoltà nella formazione a distanza, e l’11% degli occupati alle prese con le proprie attività lavorative in versione digitale. Per il 60,7% degli italiani, in assenza di interventi adeguati, il digitale aumenterà le disuguaglianze tra le persone. L’86,3% ritiene la connettività a internet un diritto fondamentale, al pari della tutela della salute, della pensione per la vecchiaia o delle tutele sul lavoro.
 
Anziani “bancomat” di figli e nipoti. Nel 2020 le famiglie con almeno un pensionato da lavoro sono 8,7 milioni (pari al 33,4% del totale), con un aumento del 2,1% rispetto al 2019, ovvero 177.000 nuclei familiari in più. Si tratta di un dato in controtendenza rispetto al decennio antecedente al Covid-19 (2010-2019), quando la stessa tipologia di famiglie era diminuita di 249.000 unità (-2,8%). Sempre nel periodo 2019-2020 le coppie di pensionati con figli sono aumentate del 2,7% e sono diventate complessivamente 1,2 milioni, mentre nel periodo 2010-2019 si era registrata una variazione negativa, pari a -26,7%.
 
Tra il 2019 e il 2020 si contano 443.000 nuclei monogenitoriali con almeno un pensionato, aumentati in dodici mesi di 18.000 unità (+4,1%), a fronte di un calo nel periodo 2010-2019 di 36.000 unità (-7,8%). La crescita delle tipologie familiari in cui coesistono genitori pensionati con figli rilancia con forza il tema della rilevanza sociale delle pensioni. Il 69,7% degli italiani pensa infatti che gli anziani siano il bancomat di figli e nipoti. Nel tempo andrà valutato l’impatto economico delle misure di anticipo del pensionamento introdotte in questi anni: nel 2020 si registrano 291.479 pensioni anticipate contro le 269.528 pensioni di vecchiaia, mentre nel 2019 le prime erano state 299.416 e quelle di vecchiaia 155.625.
 
I giovani alla prova della pandemia. La percezione che i gangli del potere decisionale siano in mano alle fasce anziane della popolazione è molto forte tra i giovani: è quanto emerge da un’indagine del Censis ripresa oggi nel Rapporto annuale.
 
Il 74,1% dei giovani di 18-34 anni ritiene che ci siano troppi anziani a occupare posizioni di potere nell’economia, nella società e nei media, enfatizzando una opinione comunque ampiamente condivisa da tutta la popolazione (65,8%). Il 54,3% dei 18-34enni (a fronte del 32,8% della popolazione complessiva) ritiene che si spendano troppe risorse pubbliche per gli anziani, anziché per i giovani.
 
La precarietà lavorativa sperimentata nei percorsi di vita individuali influenza il clima di fiducia verso lo Stato e le istituzioni. Il 58% della popolazione italiana tende a non fidarsi del governo, ma tra i giovani adulti la percentuale sale al 66%. I Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, costituiscono una eclatante fragilità sociale del nostro Paese. Tra tutti gli Stati europei, l’Italia presenta il dato più elevato, che negli anni continua a aumentare. Nel 2020 erano 2,7 milioni, pari al 29,3% del totale della classe di età 20-34 anni: +5,1% rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno sono il 42,5%, quasi il doppio dei coetanei che vivono nelle regioni del Centro (24,9%) o nel Nord (19,9%).
 
Le donne alla prova della pandemia. A giugno 2021, nonostante il rimbalzo dell’economia del primo semestre, le donne occupate hanno continuato a diminuire: sono 9.448.000, alla fine del 2020 erano 9.516.000, nel 2019 erano 9.869.000.
Durante la pandemia 421.000 donne hanno perso o non hanno trovato lavoro. Il tasso di attività femminile (la percentuale di donne in età lavorativa disponibili a lavorare) a metà anno è al 54,6%, si è ridotto di circa 2 punti percentuali durante la pandemia e rimane lontanissimo da quello degli uomini, pari al 72,9%.
 
Da questo punto di vista, l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i Paesi europei, guidati dalla Svezia, dove il tasso di attività femminile è pari all’80,3%, e siamo distanti anche da Grecia e Romania, che con il 59,3% ci precedono immediatamente nella graduatoria. La pandemia ha comportato un surplus inedito di difficoltà rispetto a quelle abituali per le donne che si sono trovate a dover gestire in casa il doppio carico figli-lavoro. Il 52,9% delle donne occupate dichiara che durante l’emergenza sanitaria si è dovuto sobbarcare un carico aggiuntivo di stress, fatica e impegno nel lavoro e nella vita familiare, per il 39,1% la situazione è rimasta la stessa del periodo pre-Covid e solo per l’8,1% è migliorata. Tra gli occupati uomini, invece, nel 39,3% dei casi stress e fatica sono peggiorati, nel 44,9% sono rimasti gli stessi e nel 15,9% sono migliorati.

 

 

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